Tav, cosa succede nel governo dopo il voto del Senato
Crisi sì, crisi no. Crisi aperta, crisi da aprire. Il voto sulle mozioni Tav che si è tenuto oggi al Senato apre scenari incerti per il governo guidato da Giuseppe Conte. E, se da una parte c’è chi dice che la crisi di governo è già in corso, c’è anche chi ritiene che la maggioranza non è poi così spaccata. Il gelo tra Movimento 5 Stelle e Lega, però, è tutt’altro che nascosto. Una mattinata di accuse e contro-accuse si è conclusa con la bocciatura delle mozioni no-Tav e l’approvazione di quelle sì-Tav. I 5 Stelle accusano la Lega di aver votato con il Pd. La Lega accusa i 5 Stelle di aver votato contro la volontà del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. E nella bagarre si inserisce anche il Pd che chiede a Conte di andare al Colle per formalizzare la crisi presentando le sue dimissioni.
A livello pratico il sì alle mozioni pro-Tav del Senato non cambia molto. Il governo aveva già deciso di andare avanti con la realizzazione dell’alta velocità, comunicando la sua volontà anche all’Ue. Il voto di oggi non fa che rafforzare la decisione di Conte e non porterà alcun cambiamento dal punto di vista tecnico. Quindi ora si andrà avanti con l’allargamento dei cantieri di Chiomonte e con la gara per l’appalto che è già pronta e verrà lanciata a settembre.
Cosa cambia per il governo
La partita, però, è tutta interna al governo. La Tav alla fine è nient’altro che un pretesto. Che rischia di acuire le distanze tra i due alleati di governo. L’ipotesi di una crisi non è così remota e c’è già chi parla del 13 ottobre come data per le elezioni politiche. Ieri Salvini aveva avvisato tutti: notizie sul voto anticipato sarebbero potute arrivare prima di settembre. Oggi la Lega minaccia conseguenze concrete per l’atteggiamento dei 5 Stelle. Il Pd, intanto, chiede le dimissioni di Conte. La spaccatura c’è ed è evidente.
Salvini l’avvertimento l’aveva già lanciato negli scorsi giorni: i 5 Stelle non possono votare contro la decisione di Conte. Eppure l’hanno fatto. Il che potrebbe essere un pretesto per la parte leghista. Solo un pretesto perché, tecnicamente, non è sulla mozione no-Tav che il governo può cadere: non c’era un voto di fiducia e qualunque fosse stato il risultato non si sarebbe ufficialmente (da un punto di vista formale) aperta una crisi parlamentare. Ma una classica goccia che fa traboccare il vaso, quello sì.
Dal Movimento 5 Stelle per ora non arrivano commenti. Il ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli, fa sapere che non si dimetterà, nonostante la cocente delusione, per lui che si è sempre schierato – anche come ministro – contro l'alta velocità. Oggi si riuniscono i senatori pentastellati e stasera è prevista l’assemblea congiunta, presente anche Luigi Di Maio. E non è detto che un segnale di forte scontento – magari decisivo per il futuro del governo – non arrivi proprio oggi in casa pentastellata.
Crisi parlamentare e crisi extra-parlamentare
Le mozioni votate oggi non aprono la crisi a livello tecnico. Non possiamo dire che sia iniziata una crisi parlamentare. Anche se la spaccatura – evidenziata durante l’annuncio della posizione del governo – è netta e innegabile. Per ora la crisi strettamente parlamentare è scongiurata anche per un altro motivo: fino a settembre le Camere non sono convocate. Per cui non potrà aprirsi la crisi con un altro voto, salvo convocazioni dell’ultimo momento per urgenze particolari.
La crisi potrebbe quindi essere extra-parlamentare. La palla ora è in mano a Salvini e alla Lega, che attende le decisioni del suo leader. È proprio lui che potrebbe decidere che non ci sono più le condizioni per andare avanti. Mettendo così fine alla vita dell’esecutivo. I ben informati ribadiscono che le mozioni sulla Tav potrebbero essere un pretesto, ma non la reale motivazione della crisi. Ma sostengono anche che Salvini potrebbe usare la votazione di oggi come la classica goccia che fa traboccare il vaso.
C’è poi la posizione di Giuseppe Conte, stretto tra due morse. Per i leghisti è stato sostanzialmente sfiduciato dai 5 Stelle. Lui non sembra – o almeno non sembrava fino a ieri – voler rendere politica la crisi, rassicurando sulla stabilità del governo. Sembra, quindi, difficile che sia proprio lui ad aprire la crisi andando al Quirinale, come gli chiede il Pd. A questo punto, quindi, sembra tutto nelle mani di Salvini. O, tuttalpiù, dei Cinque Stelle. La decisione spetta a uno dei due vicepresidenti del Consiglio e se c’è qualcuno più intenzionato a rompere, quello sembra Salvini. Istigato anche da gran parte dei suoi fedelissimi, consci dell’altissimo consenso di cui gode la Lega nei sondaggi.
C’è un’altra opzione, per molti la più credibile: la crisi ci sarà, ma solo a metà. L'ipotesi è quella di un rimpasto di governo: niente nuove elezioni, ma un Conte bis con qualche cambio nei ministeri chiave. Una richiesta che la Lega ha avanzato più volte, soprattutto in riferimento ad alcuni esponenti scelti dal M5s come Trenta e Toninelli. Ma che ora, con il pretesto della Tav, potrebbe concretizzarsi. La spaccatura intanto si amplia e, come fa sapere Democratica, Salvini ha già avvertito i suoi parlamentari: “Non allontanatevi da Roma nei prossimi giorni”, è il messaggio. Un avvertimento anche nei confronti dei 5 Stelle.