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Tasse, pensioni e malattia: cosa il Governo (non) sta facendo per le partite Iva

La Legge di Stabilità torna indietro sulle partite Iva. Per correggere gli errori del governo. Mentre si attende uno Statuto del lavoro autonomo. Che promette di tutto. Ma siamo ancora lontani dall’equità.
A cura di Michele Azzu
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Chi attendeva qualcosa di rivoluzionario sulle partite Iva in questa Legge di Stabilità – o almeno nel testo arrivato al Senato che inizia ora l’iter parlamentare – dovrà rimandare l’entusiasmo a data da destinarsi. Dal governo avevano annunciato che, assieme alla Legge di Stabilità, si stava lavorando a un disegno di legge per rivedere completamente l’istituto della partita Iva.

La promessa è ambiziosa: un vero e proprio nuovo “Statuto delle partita Iva”, in cui dovrebbero rientrare – stando a quanto emerso dalle fonti governative – tagli delle tasse e dei contributi, sussidi per malattia, nuove detrazioni, parte del vecchio regime dei minimi, tutela di maternità e paternità più una tutela contro le fatture pagate in ritardo.

Tutte queste condizioni hanno un problema. Il governo Renzi sulle partite Iva ha promesso troppe volte – e mantenuto mai. Come sugli 80 euro in busta paga, mai arrivati alle partite Iva. O sull’aumento dei contributi Inps voluto dalla Fornero: non c’è stata nessuna abolizione per ora, ma solo un rinvio. O come, infine, i paventati ammortizzatori sociali per questi lavoratori di cui non si è vista l’ombra.

“È stato fatto un errore”, aveva detto Matteo Renzi lo scorso febbraio, dopo che gli interventi della vecchia Legge di Stabilità avevano peggiorato la situazione. “Daremo una risposta adatta perché il governo vuole dare una mano ai giovani, ai freelance e a quelli che ci provano”, aveva aggiunto il ministro Giuliano Poletti. Cosa c’è di vero, allora, e cosa rientra ancora unicamente negli annunci di governo?

COSA CAMBIA NELLA LEGGE DI STABILITÀ. Per ora di concreto c’è quanto inserito nella Legge di Stabilità. In cui si ferma per un altro anno l’aumento – previsto dalla Riforma Fornero – dei contributi Inps per la cassa della “Gestione Separata” dal 27 al 33%. Poi, un passo indietro sul regime dei minimi – lo sconto sulle tasse dal 15% al 5% di Irpef una volta riservato ai giovani e ora aperto a tutti. Mentre con la Legge di Stabilità dell’anno passato, infatti, il governo aveva imposto come parametro d’accesso a questo regime un reddito annuo massimo di soli 15.000 euro, ora si torna ai 30.000 del precedente regime dei minimi (15.000 euro erano un paletto veramente troppo basso).

Sul regime dei minimi, però, rimane troppa confusione. Se è vero che ora questo regime agevolato rialza il tetto di reddito a 30.000 euro, è anche vero che risulta meno competitivo rispetto al vecchio regime dei minimi. Da cui si possono (potevano?) detrarre tanti costi, mentre qui i costi sono fissi (grazie al cosiddetto “coefficiente di redditività”). Ovvero: non sei tu contribuente a dirmi quanti costi hai fatto, e quindi a calcolarti le detrazioni dalle tasse. Sono io, Stato, a dirti che costi hai fatto in quel settore a priori.

IMPOSSIBILE CAPIRCI QUALCOSA. Per queste ragioni, in seguito ai malumori conseguenti la riforma dell’anno passato, il vecchio regime dei minimi è stato prorogato per il 2015 col Decreto Milleproroghe. E sono tanti ad essersi iscritti quest’anno per poterne approfittare ancora per 5 anni (tale la durata del regime). Ma ora? Dove stanno i minimi? Le riforme e le proroghe sono così tante da non permettere, neanche ai più informati, di capirci più nulla. Soprattutto in attesa di un atteso nuovo “Statuto delle partite Iva”, che non si sa quando uscirà. Servirebbe una riforma organica che punti all’equità: perché è ancora troppo alto il costo del lavoro autonomo rispetto a quello di natura dipendente.

LE PROPOSTE SUL TAVOLO DEL GOVERNO. Nell’attesa, le speranze e le proposte sono tante. Un disegno completo di queste si trova sul sito di ACTA, un’associazione del settore che negli ultimi anni si è imposta come referente per le istanze lavoro autonomo, e che si è potuta confrontare con gli estensori dei provvedimenti dell’atteso ddl sulle partite Iva. E dunque: una tutela rispetto ai tempi di pagamento delle fatture. La deducibilità delle spese di formazione fino a 10.000 euro. La sospensione dei contributi Inps – la fetta più grossa da pagare per gli autonomi – in casi di malattia grave (fondamentale il contributo della campagna di Daniela Fregosi). L’aumento dei congedi parentali da tre a sei mesi e l’estensione di questi anche ai padri, attualmente esclusi. Infine, l’inclusione dei lavoratori autonomi nei bandi pubblici.

Non sarebbe affatto male se fosse così. Ma mancano ancora troppi passaggi per poter sapere se e come queste tutele verranno affrontate. Nel frattempo, tante questioni rimangono fuori dalla discussione. Come – si diceva prima – la forfettizzazione dei costi, che oltre ad essere meno conveniente per il lavoratore, toglie anche un importante strumento di contrasto all’evasione fiscale: coi costi non forfettari c’era la necessità di comprovare i propri costi con ricevute e fatture.

Manca ancora la questione sul sistema degli acconti, che obbliga i contribuenti autonomi a dover versare in anticipo parte di tasse e contributi dell’anno successivo su soldi che ancora non si sono incassati, né fatturati. Una vera e propria follia, con cui lo Stato da troppi anni batte cassa. Rimane, poi, la questione fondamentale su un “equo compenso”, perché le partite Iva sono pagate meno. E rimane fuori anche la proposta su una “equa pensione”, perché nonostante un terzo del proprio reddito vada all’Inps, non c’è partita Iva che possa sapere quanto prenderà di pensione in futuro.

SI TORNA INDIETRO PER CORREGGERE GLI ERRORI DEL GOVERNO. Manca, infine, la questione centrale: più equità rispetto ai dipendenti. Ne è esempio quanto riporta ACTA: il nuovo regime dei minimi prevede la possibilità di essere cumulabile con un impiego da dipendente. Significa che se una persona ha un contratto stabile di lavoro e guadagna entro i 30.000 euro l’anno (o riceve una pensione equivalente) può anche aprire una partita Iva col regime dei minimi e guadagnare altri 30.000 in questo regime fiscale agevolato. Una bella ingiustizia, visto che alla fine quella persona avrebbe un reddito di circa 60.000 euro, ma pagherebbe tasse e contributi come una partita Iva che guadagna la metà – e in più potrebbe usufruire delle detrazioni.

Serve ancora tanto lavoro sulle partite Iva. Nel frattempo, a un anno e mezzo dai primi annunci non è cambiato nulla. Si interviene con la Legge di Stabilità per rinviare l’aumento dell’Inps e per tornare indietro sul regime dei minimi. Si è intervenuti, cioè, per tornare al passato. Per riparare agli errori del governo stesso. Ma la situazione era difficile già prima, e tornare al passato non può bastare per risolvere la situazione. Serve molto di più.

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Michele Azzu è un giornalista freelance che si occupa principalmente di lavoro, società e cultura. Scrive per L'Espresso e Fanpage.it. Ha collaborato per il Guardian. Nel 2010 ha fondato, assieme a Marco Nurra, il sito L'isola dei cassintegrati di cui è direttore. Nel 2011 ha vinto il premio di Google "Eretici Digitali" al Festival Internazionale del Giornalismo, nel 2012 il "Premio dello Zuccherificio" per il giornalismo d'inchiesta. Ha pubblicato Asinara Revolution (Bompiani, 2011), scritto insieme a Marco Nurra.
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