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Tassa extraprofitti banche, Turco (M5s): “Un fallimento, Meloni non vuole mettersi contro i poteri forti”

La tassa sugli extraprofitti delle banche proposta dal governo Meloni era un “fallimento annunciato” e alla fine si è rivelata una “norma di facciata”, che potrebbe portare un gettito “potenzialmente pari a zero”, forse perché l’esecutivo non si è voluto mettere “contro i cosiddetti poteri forti”. Lo ha detto Mario Turco, vicepresidente del Movimento 5 stelle, a Fanpage.it.
A cura di Luca Pons
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La tassa sugli extraprofitti delle banche è stata una mossa inaspettata, quando il governo Meloni l'ha annunciata a inizio agosto. Non era stata inserita tra le bozze circolate prima dell'incontro del Consiglio dei ministri, e Meloni ha poi confermato di essersi presa la responsabilità personale di far scrivere la norma senza coinvolgere l'intero governo. Si sono levati malumori dal mondo delle banche, inclusa la Banca centrale europea, e anche dagli alleati di Forza Italia. Così, la norma è stata cambiata: l'esecutivo ha presentato un emendamento con delle modifiche. In pratica, un compromesso per evitare tensioni interne e dare più tranquillità anche alla Bce.

Mario Turco, vicepresidente del Movimento 5 stelle e componente della commissione Finanze del Senato (che sta esaminando il testo) ha detto a Fanpage.it che questa tassa è stata un "fallimento annunciato": il governo Meloni ha scritto una norma in cui non c'è neanche una previsione su quanto incasserà lo Stato, che si tratti di "incapacità" o di "fatica a mettersi contro i cosiddetti poteri forti".

Partiamo dalla proposta in sé, per come era formulata in partenza: siete d'accordo con una tassa sugli extraprofitti delle banche? Era stata anche una vostra proposta, qualche mese fa.

Il Movimento 5 Stelle già nel corso del governo Draghi aveva auspicato una tassa sugli extraprofitti. Non solo delle imprese energetiche, come era avvenuto, ma anche in altri settori, tra cui quello bancario, farmaceutico, assicurativo e delle armi. Per noi questa è la funzione della politica fiscale, deve servire alla ridistribuzione della ricchezza. Oggi ci sono dei settori che, per eventi eccezionali e per motivi straordinari, accumulano degli extraprofitti, a scapito anche di altri settori e di cittadini. Di fronte a questa distorsione, lo Stato deve intervenire per ridurre le diseguaglianze, in termini strutturali.

Quindi siete stati soddisfatti quando il governo ha annunciato la tassa?

Forse con la spinta del Movimento 5 Stelle e dell'opinione pubblica, il governo è stato quasi costretto ad improvvisare una norma. Ma la redistribuzione della ricchezza non è nel loro Dna, nella loro visione politica. Infatti è un testo pasticciato, che già nella sua prima forma era un fallimento annunciato. Poi è stato riscritta tre volte, e continua ad avere aspetti che vanno contro la Costituzione e i principi della concorrenza.

Parliamo di questa riscrittura. Ci sono modifiche che rendono possibile non pagare la tassa, per le banche che rinforzano il proprio patrimonio, e alcuni altri cambiamenti tecnici. È un passo indietro?

Più che altro, non ha risolto uno dei problemi principali della legge, anzi lo ha aggravato. L'imposta ha un gettito che è solo virtuale: non ci sono stime attendibili su quanto incasserà lo Stato, né da parte del governo né dalla Ragioneria di Stato. Con il nuovo emendamento, il prelievo si calcolerà sulla differenza tra l'esercizio del 2021 e quello del 2023, che è ancora in corso e quindi ancora da determinare. Per di più, c'è la possibilità per le banche di evitare l'imposta versando una somma – pari a due volte e mezzo la tassa – per il rafforzamento patrimoniale. Questo rende il gettito impossibile da prevedere.

Giorgia Meloni ha ripetuto più volte che la tassa si poteva cambiare, ma solo "a parità di gettito". Non è stato così, quindi?

Ora il gettito potrebbe essere potenzialmente anche pari a zero, se tutte le banche decidessero di rafforzare il patrimonio invece che pagare l'imposta. Quale banca preferirà pagare una tassa in più piuttosto che autofinanziarsi? La promessa di Meloni è venuta meno, come al solito ha fatto un passo avanti e due indietro. A questo punto viene un dubbio.

Quale dubbio?

Si tratta di incapacità da parte del governo, che scrive male una norma e non prevede il gettito, oppure è una finta incapacità?

Intende che la legge sarebbe fatta ‘male' di proposito, per non colpire troppo duramente le banche?

Diciamo che il governo diciamo fa fatica ogni volta a mettersi contro i cosiddetti poteri forti. La norma così viene resa inefficace, in modo simile a come avvenne con il governo Draghi: la tassa sugli extraprofitti delle imprese energetiche ha lasciato un buco di oltre due miliardi di euro, di gettito previsto che poi non abbiamo mai ottenuto.

Il governo però dice che con questo nuovo emendamento si spingeranno le banche, soprattutto quelle più piccole e legate al territorio, a rafforzare il loro capitale e quindi diventare più stabili. Lo aveva chiesto anche la Bce.

Ma allora a questo punto è una norma a favore della stabilità del capitale bancario e del settore finanziario. Per noi la tassa sugli extraprofitti nasce per redistribuire ricchezza accumulata, lo ripeto. Invece ora il governo fallisce nell'intento di creare gettito, e in più tradisce la promessa di aiutare con queste risorse le famiglie e le imprese più fragili, che oggi si trovano a dover fare i conti con tassi di interesse sempre più elevati.

Il governo ha aggiunto una clausola per cui alle banche sarà vietato scaricare sui clienti i costi aggiuntivi legati a questa tassa. È un intervento utile?

Andare a valutare le politiche interne e la gestione aziendale di ciascuna banca mi sembra molto difficile. Nel concreto non produrrà nessun effetto, perché altrimenti viene meno la libertà gestionale da parte delle singole banche. Tra la norma scritta e la sua messa in atto c'è di mezzo il mare: è un intervento di facciata, come al solito con questo governo. Non aiuterà i cittadini né le imprese.

La tassa secondo voi come andrebbe cambiata?

Intanto abbiamo proposto di colpire realmente l'area degli extraprofitti, con un emendamento a mia prima firma. I veri profitti si calcolano partendo dal risultato netto, non dal margine di interesse. Altrimenti si premiano aziende che hanno fatto scarse politiche di investimento (nella formazione, nel capitale umano…) e si tassano coloro che invece hanno realizzato questi investimenti. Questo crea un problema di incostituzionalità della norma. E poi c'è tutto il mondo degli istituti finanziari, che forse chi ha scritto il decreto si è dimenticato.

Cioè?

Oltre a chiedere di nuovo la tassazione per le aziende energetiche, farmaceutiche, assicurative e delle armi, noi presenteremo una proposta – e ci auguriamo che il governo a questo punto la accolga – per chiedere una tassazione di extraprofitti agli istituti finanziari, soprattutto quelli che praticano il credito al consumo. Oggi sono esclusi da questa norma. Noi escluderemmo solo quelle banche che hanno una finalità mutualistica, sostanzialmente solo le banche di credito cooperativo. Tutte quelle che hanno una finalità lucrativa, devono pagare la tassa.

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