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Covid 19

Tariffe più alte e indennizzi speciali: a che prezzo la sanità privata sta aiutando le regioni

Con lo scoppio dell’emergenza Covid, il governo ha ordinato a ospedali e case di cura privati di fermare visite e ricoveri emettersi a disposizione per combattere il virus. In alcune aree i loro apporto è decisivo, ma in altre le strutture sono rimaste poco o per niente utilizzate. Ora governo e regioni cercano di “compensare” i privati per lo stop alle attività. Ma il rischio è che l’indennizzo si trasformi in un regalo.
A cura di Marco Billeci
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Senza l’intervento della sanità privata, l’impatto del Coronavirus sul Sistema Sanitario Nazionale sarebbe stato ancora più duro. Lo dicono i numeri. Guardando solo alla Lombardia, l’Aiop (Associazione italiana ospedalità privata) calcola 28mila ricoveri in strutture accreditate dall’inizio dell’emergenza. Al 6 marzo, i letti disponibili per malati acuti erano il 28 percento del totale regionale. Quelli di terapia intensiva 334 e si stima che oggi siano quasi raddoppiati. Fatta questa premessa, può essere utile cercare di capire quale sia l’effettivo apporto della sanità privata nella gestione della crisi e provare a quantificarne i costi. Un’operazione complicata poiché – secondo un copione ripetuto più volte in queste settimane –, lo Stato centrale e le diverse Regioni si muovono in ordine sparso. Tuttavia il tentativo sembra necessario anche perché, proprio in queste ore, due differenti interventi di legge hanno allargato le maglie dei costi riconosciuti alle strutture accreditate in funzione della situazione di emergenza.

L’appello alla sanità privata

Di fronte al dilagare del virus, il 1 marzo con una circolare il ministero della Salute chiede alle Regioni di potenziare la rete di posti letto dedicati ai pazienti Covid. Nei piani regionali sono coinvolti anche ospedali e case di cura privati, che rappresentano circa il 25 percento del totale nazionale. Nei giorni successivi, le autorità ordinano di sospendere le attività ordinarie non urgenti per svuotare i reparti e tenere le strutture pronte ad affrontare l’emergenza.

Alcuni ospedali convenzionati si attrezzano per trattare pazienti Covid, mettendo a disposizione circa 13mila posti di terapia intensiva e altri 40mila per acuti su tutto il territorio nazionale. Altre cliniche danno invece la disponibilità ad accogliere i pazienti in remissione (quelli usciti dalla fase critica della malattia), altre ancora le persone afflitte da patologie diverse che devono essere trasferite dagli ospedali concentrati sulla lotta al virus.

Con l’aggravarsi della crisi, il decreto Cura Italia di metà marzo stabilisce la possibilità per le Regioni di firmare accordi per l’acquisto di ulteriori prestazioni dalle strutture private, accreditate e non, in deroga ai tetti di spesa vigenti.  A questa data, alcune Regioni avevano già firmato protocolli con le associazioni di categoria per regolare la disponibilità di posti. Altre giunte regionali  però – soprattutto al di fuori della fascia più critica –  lo fanno solo dopo che il decreto ha dato loro la possibilità di spendere soldi al di fuori dei limiti stabiliti dalla legge. E in alcuni di questi accordi, come vedremo, le cifre corrisposte sono insolitamente alte rispetto alla media e le condizioni per ottenerle molto più agevolate. A oggi i protocolli tra regioni e settore privato su questo tema sono undici.

Nelle aree del Nord più colpite dal virus, i posti messi in campo risultano quasi tutti utilizzati. La situazione è diversa al Centrosud, dove per fortuna, almeno per il momento, l’impatto del Covid è rimasto più contenuto. In queste zone molte strutture private sono rimaste inattive. Solo per fare un esempio, in Campania, a fronte di una disponibilità di oltre 3mila posti fuori dal circuito pubblico, alla Protezione Civile risultano un centinaio i pazienti effettivamente trattati.

Quanto costa il privato

Ogni giunta regionale ha fissato dei prezzi per i rimborsi delle prestazioni fornite dalla sanità privata. In Emilia Romagna ad esempio il tariffario è il seguente: 250 euro al giorno per i ricoveri Covid ordinari; 700 per quelli in sub-intensiva; 1100 per la terapia intensiva; 225 per i pazienti in via di guarigione. Altre regioni hanno stabilito cifre diverse, in Toscana un giorno di ricovero in terapia intensiva costa 1700 euro.

Secondo, il direttore generale dell’Aiop Filippo Leonardi è sbagliato pensare che questo stato di cose abbia una convenienza economica. “Solitamente una struttura in un mese fa cinque o sei prestazioni importanti per ogni posto disponibile”, spiega Leonardi. E prosegue: “Ora nello stesso lasso di tempo c’è un solo ricovero, peraltro senza un intervento medico chirurgico quindi con un rimborso molto più basso”. A questo, come ricordato, vanno aggiunte tutte quelle cliniche che sono ferme, impossibilitate a svolgere l’attività ordinaria e senza al momento la necessità di accogliere pazienti Covid. “Senza la garanzia dei rimborsi – dice Leonardi -, diverse strutture hanno dovuto mettere il personale in cassa integrazione”.

Per capire meglio la portata della questione, spieghiamo in breve come funziona il sistema di pagamento del pubblico verso la sanità privata. Di norma, ogni mese le regioni anticipano una cifra alle strutture accreditate pari all’ottanta percento del fatturato dell’anno precedente diviso per dodici. A fine anno poi, si calcolano le prestazioni realmente effettuate – per ognuna delle quali è stabilito un costo a livello regionale – e si conguaglia la cifra, ritoccandola verso l’alto. Ora è chiaro che secondo questo sistema, chi non lavora a fine anno dovrebbe restituire il denaro ricevuto in eccesso. “Ma anche i nostri associati che stanno trattando pazienti Covid, ci dicono che il loro fatturato di quest’anno sarà al massimo il 20 percento rispetto al 2019”, dice Leonardi.

Già con i protocolli regionali, alcuni territori si sono mossi per venire in soccorso della sanità accreditata. Come vedremo, la Campania ha stabilito di corrispondere il 95 percento del fatturato dell'anno precedente senza condizioni, la Sicilia il 100 percento. Si tratta quindi di quote persino più alte rispetto a quanto anticipato in condizioni normali, nonostante appunto è quasi impossibile che a fine anno le strutture abbiano un ricavato anche solo vicino a quello del 2019.  Nelle ultime ore poi, anche a livello nazionale qualcosa si è mosso.

La maggioranza dice: più soldi ai privati

Ieri in Commissione Bilancio al Senato era stato approvato un emendamento al dl Cura Italia a firma dei senatori Pd Astorre e Collina. Il testo prevedeva la possibilità per le Regioni di riconoscere una sorta d’indennizzo alle strutture private “per l’allestimento dei reparti e la gestione dell’emergenza Covid”. Questa indennità, aggiuntiva rispetto ai rimborsi per le prestazioni, doveva tenere conto anche dei costi per la sospensione dell’attività ordinaria.

Inoltre, con la proposta si dava la possibilità di incrementare le tariffe attuali per le prestazioni rese a pazienti affetti da Coronavirus, fino al termine dell’emergenza. Infine si stabiliva che le regioni in questi mesi debbano comunque versare  un acconto di un massimo del 70 percento del dodicesimo del fatturato 2019, da conguagliare a fine anno. Il senso dell'emendamento, quindi, appariva quello di garantire ulteriori risorse ai privati come compensazione per aver fermato l'attività classica, svuotato i reparti ed essersi messi a disposizione per l'emergenza

Al momento di votare il decreto in aula, però, questa norma è saltata. Motivo? Nel frattempo è stato pubblicato il decreto cosiddetto Liquidità. Qui, in un testo che si occupa principalmente di altro,  all’articolo 32 ha trovato spazio anche una disposizione che tratta le stesse questioni della proposta Astorre-Collina. I contenuti anzi sono quasi sono identici: aumento delle tariffe, indennità aggiuntiva, 70 percento a titolo di acconto. Inserendo le disposizioni nel nuovo decreto, però, se ne accelera la messa in pratica, visto che questo è immediatamente operativo mentre per il Cura Italia si sarebbe dovuto aspettare l’approvazione definitiva delle Camere. L’unica differenza sostanziale tra i due testi, è che ora si rimanda a un successivo provvedimento del ministero della Salute per stabilire le modalità per determinare l’indennità di funzione e l’incremento dei rimborsi, lasciando quindi meno margine di discrezionalità alle Regioni.

In una precedente versione dell’articolo, si faceva riferimento al fatto che il riconoscimento di un indennizzo per i privati che hanno allestito reparti Covid e gestiscono l’emergenza fosse differenziato a seconda del loro ruolo nella rete. Questa specifica è scomparsa nel testo definitivo. Se tale aspetto non verrà chiarito nelle “istruzioni” del ministero della Salute, ciò potrebbe significare che l’indennità potrà essere corrisposta nello stesso modo a chi tratta un solo paziente come a chi ne tratta cinquanta, a chi si occupa di terapia intensiva come a chi ha accolto solo pazienti in dismissione o non Covid.

C’è poi un altro punto controverso. L’indennità spetta solo a chi ha effettivamente ricoverato dei pazienti o a tutte le strutture che si sono messe a disposizione per l’emergenza, anche se rimaste inattive? Solo alle prime, secondo l’Associazione italiana ospedalità privata. "Noi invece chiedevamo che fosse versato l’80 percento del budget dell’anno precedente a titolo di indennizzo a tutti”, dice il direttore generale dell’Aiop Giuseppe Leonardi.

Nella norma in realtà si parla della possibilità di riconoscere una cifra a tutte le strutture inserite nei piani di emergenza regionale. Come abbiamo raccontato il Cura Italia ha ampliato il perimetro di tali piani, dando la possibilità di acquistare nuove prestazioni dai privati, anche in deroga ai tetti di spesa. E anche alla luce degli ultimi sviluppi, rimangono i dubbi sulla corsa delle Regioni in aree fuori dalla zona rossa a siglare protocolli dopo metà marzo per allargare la quantità di posti e il tipo di strutture messe a disposizione dal privato accreditato.  Nonostante un numero di pazienti che – come ammesso dalla stessa Aiop – a oggi non giustifica questa esigenza. Quante e quali tra queste cliniche avranno diritto all'indennità prevista dal nuovo decreto?

C'è da dire peraltro che regole stabilite ora a livello nazionale sono comunque più stringenti da quelle previste da diversi accordi regionali. Vedremo come  da De Luca a Musumeci, c'è chi tra i governatori regionali aveva previsto per le strutture private remunerazioni ben più generose.

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