Silvio Berlusconi è sicuro: il governo non mangerà il panettone. Pd e Leu si spingono leggermente più avanti: dopo le Europee Salvini passerà all’incasso e nell’autunno 2019 avremo un nuovo governo, con o senza elezioni. Lega e Cinque Stelle ufficialmente smentiscono ipotesi di questo tipo, ma da settimane è in corso un costante lavoro sottotraccia per arrivare all’appuntamento decisivo, la legge di bilancio, nel modo migliore possibile, ovvero senza questioni irrisolte fra i ministri più ingombranti, in modo da evitare che intorno alle misure del ministro Tria vada in scena una vera e propria resa dei conti. Anche perché, si ragiona tra i pontieri, le questioni sul tavolo del ministro dell’Economia sono già tali e tante che senza un clima “sereno” difficilmente si riuscirà a venirne a capo. E allora ci sono problemi che vanno in qualche modo risolti in queste settimane, pausa o non pausa. Se sul decreto Dignità si è riusciti a trovare una quadra, promettendo a Salvini che le aziende saranno adeguatamente sostenute in sede di legge di bilancio, ci sono tre argomenti su cui va trovato urgentemente un compromesso.
Il TAP, per cominciare. In queste settimane il ministro Lezzi è stata più volte oggetto dei rilievi e delle contestazioni di comitati, sindaci e attivisti cui il M5s aveva promesso di “bloccare l’opera inutile in 15 giorni”. Ieri, il Presidente del Consiglio Conte, in visita da Trump, ha certificato il mutamento di rotta: “C’è la piena consapevolezza del mio governo sul fatto Tap è opera strategica per l’approvvigionamento energetico del nostro Paese, del sud Europa e dell’area del Mediterraneo. Siamo consapevoli del fatto che Tap può dare un contributo all’approvvigionamento energetico e alla decarbonizzazione, che è nel programma di governo”. E allora, come se ne esce, considerando anche che la Lega non ha alcun interesse nel fermare l’opera, che anzi è gradita ai “partner” internazionali? Per ora a Lezzi e al M5s basta la rassicurazione di Conte, che si recherà a Melendugno e incontrerà comitati e sindaci. Il problema è capire se esistono soluzioni tecniche per tenere insieme la realizzazione dell’opera e le richieste degli attivisti (una sintesi appare molto complicata, a dir la verità), oppure se il M5s si assumerà fino in fondo la responsabilità di un voltafaccia che avrebbe del clamoroso. La soluzione di compromesso, dunque, consisterebbe nel “rallentamento delle tempistiche per studiare soluzioni alternative”, come ci spiegano fonti del M5s. Insomma, contrarietà esplicita di Lezzi e del M5s, Conte che incontra i cittadini e ottiene uno “slittamento delle tempistiche”. Fino a quando, non è chiarissimo.
Una strategia che, fatte salve le evidenti differenze, è essenzialmente quella che si intende adottare per la questione TAV. Salvini, come noto, spinge per la realizzazione dell’opera, mentre Di Maio ha annunciato di voler convincere i francesi della necessità di ripensare “un progetto ideato 30 anni fa”. E Toninelli ha fatto capire che la scelta potrebbe essere quella di prendere tempo: “Macron ha chiesto una valutazione sull’opera che è arrivata dopo otto mesi, io sono al ministero solo da cinquantacinque giorni”. Rispetto al TAP, però, la questione appare più semplice da affrontare, perché effettivamente non ci sono (e non ci sono mai state) date di avvio e chiusura dei lavori, non ci sono penali da pagare e, soprattutto, non sembra che i francesi siano impazienti di riprendere i lavori e concluderli con celerità. È necessario, però, che la Lega si allinei sulla linea della prudenza: un passaggio non semplicissimo, stando ai bene informati, anche perché Salvini ha messo gli occhi sul Piemonte, ultimo baluardo che resiste al monocolore leghista al Nord.
E, infine, c’è sempre il leader leghista che scalpita sul versante immigrazione. Dopo le prime circolari volte alla “riorganizzazione” dell’accoglienza e a fare pressione sulle commissioni territoriali affinché riducano la concessione dei permessi, il ministro dell’Interno punta all’obiettivo grosso: l’abolizione della protezione umanitaria, la formula con cui l’Italia tutela chi non ha diritto né allo status di rifugiato né alla protezione sussidiaria, ma necessita comunque di una qualche forma di protezione. Anche stavolta, però, Salvini dovrebbe imporre la linea ai 5 Stelle e, nello specifico, al ministro della Giustizia Bonafede, con cui i rapporti non sono idilliaci, in ragione di qualche precedente (le circolari e, soprattutto, la questione dei 49 milioni di euro). A quanto risulta a Fanpage.it, sul punto specifico il M5s ha espresso la propria contrarietà all'abolizione di quello che è a tutti gli effetti uno strumento di tutela di persone che vivono condizioni complesse e delicate. Almeno non senza una rideterminazione complessiva del sistema dell'asilo e della protezione: insomma, niente provvedimenti spot che possano consentire a Salvini di continuare la campagna elettorale permanente e restituiscano ancora di più l'immagine di un M5s subalterno sul versante immigrazione. La formula chiave sarà "approccio organico", dunque non solo un singolo provvedimento, ma una negoziazione complessiva con la Lega che dovrebbe concretizzarsi anche in un decreto sicurezza scritto davvero a 4 mani. In cambio, Bonafede e il M5s lascerebbero campo libero a Salvini sulla legittima difesa. Che tanto è già nel contratto di governo…