Tampon tax: sei anni di battaglia tra emendamenti bocciati e proposte di legge dimenticate
Sulla tampon tax si intravede la luce, un piccolo risultato con la riduzione al 10% dell’aliquota Iva. Un obiettivo minimo raggiunto dopo quasi sei anni di battaglia, iniziata da tempo, con i governi che si sono susseguiti sempre sordi alla richiesta. È davvero lungo l’elenco di proposte di legge finite nel dimenticatoio ed emendamenti puntualmente respinti. Era il gennaio 2016 quando Beatrice Brignone e Giuseppe Civati, deputati di Possibile, lanciarono la sfida sulla riduzione della tassazione sui prodotti igienici femminili.
I due parlamentari, insieme ai colleghi Luca Pastorino e Andrea Maestri, depositarono alla Camera il testo, molto semplice, composto da due articoli. Il primo indicava la riduzione dell’Iva sui “prodotti sanitari o igienici femminili, quali tamponi interni, assorbenti esterni, coppe e spugne mestruali” e il secondo individuava la copertura finanziaria “nell’ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze”. L’iniziativa, in quel periodo, fu accolta come una sorta di boutade, come fosse un’assurdità, tra risolini e commenti caustici. Addirittura Luciana Littizzetto, durante un suo intervento a Che tempo che fa, derise la proposta, suscitando l’ilarità del pubblico del programma di Fabio Fazio. Con il tempo, però, la tampon tax si è trasformata da oggetto di scherno a una battaglia di civiltà per le donne.
Certo, la proposta di legge di Possibile non è stata mai discussa, ma in quella Legge di Bilancio Civati e Brignone ci riprovarono, presentando un emendamento rimandato al mittente. Non c’erano coperture, era la motivazione. Terminata la legislatura, si è tornati al punto di partenza. Alla Camera è stato depositato un testo, con le prime firme delle deputate del Pd, Enza Bruno Bossio e Chiara Gribaudo, mentre al Senato è stato Pierpaolo Sileri (Movimento 5 Stelle), attuale sottosegretario alla Salute, a presentare la proposta di legge, sottoscritta da numerose colleghe. E non c’è bisogno di aggiungere che, anche in questi casi, non sono mai state discusse.
Finita qua? Macché: il calvario è stato lungo. Sempre nel 2018, durante la discussione del decreto Semplificazione, Luca Pastorino (nel frattempo rieletto a Montecitorio con Liberi e uguali) presentò un emendamento. L’esito è facilmente immaginabile, se ancora oggi si parla di riduzione. Nella Legge di Bilancio dello stesso anno il Movimento 5 Stelle, con la deputata Vita Martinciglio capofila, ci riprovò con un emendamento. “Le questioni che riguardano la fiscalità a volte chiedono un po’ più di tempo”, disse la sottosegretaria all’Economia del primo governo Conte, Laura Castelli, motivando il no all’iniziativa portata avanti dal suo stesso partito. Nel 2019 è stata di nuovo Bruno Bossio a porre la questione con un ordine del giorno al decreto per la semplificazione fiscale, ricordando – nel suo intervento in Aula – che qualche mese prima era stata votata a Strasburgo “una risoluzione in Parlamento in cui invita tutti gli Stati membri ad eliminare o abbassare questa tassa”.
Ma la battaglia per la tampon tax ha visto in prima linea anche l’ex presidente della Camera, Laura Boldrini. Nella manovra del 2019, infatti, è stata lei a mettersi a capo di un gruppo trasversale di deputate, tra cui c’erano le altre parlamentari dem, Marianna Madia e Patrizia Prestipino, la pentastellata Martinciglio, l’ecologista Rossella Muroni, insieme a Lucia Annibali di Italia Viva e Renata Polverini di Forza Italia, oltre ai due punti fermi Bruno Bossio e Gribaudo. L’interlocuzione con l’allora ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, portò a un compromesso molto al ribasso. La riduzione fu prevista solo per i materiali biodegradabili. Più che un problema di diritti, insomma, la tampon tax fu interpretata come una questione ambientale. Tema nobile, per carità, ma estraneo alla vicenda.
L’anno successivo, nel 2020, sempre Boldrini è tornata alla carica con un emendamento alla Legge di Bilancio, andando caparbiamente verso l’ennesimo “nulla di fatto”. E ancora: a maggio 2021 la senatrice del M5S, Susy Matrisciano, ha rilanciato l’impegno con una mozione a Palazzo Madama. Una mossa “disperata” che ha fatto quasi da preludio all’ultimo miglio della battaglia: la possibile approvazione nella prossima manovra, direttamente nel testo del governo. Seppure nella forma depotenziata della riduzione al 10% e non al 4% come chiesto negli anni.