Taglio parlamentari, dopo referendum sparite riforme dei regolamenti e correttivi promessi dal Pd
Un sì vincolato. L’approvazione di una riforma costituzionale in cambio di una revisione immediata di regolamenti e regole parlamentari. Le condizioni che il Pd, ormai quasi un anno fa, ha posto per dare il via libera al taglio del numero dei parlamentari erano state messe in chiaro dall’allora segretario Nicola Zingaretti: sì alla riforma in cambio di “modifiche regolamentari”. Che, ad oggi, ancora non esistono. Niente riforma dei regolamenti parlamentari, niente correttivi costituzionali e niente riforme. Le promesse precedenti e successive al referendum sul taglio dei parlamentari che è stato celebrato – con una vittoria del sì – il 20 e il 21 settembre 2020, sembrano quasi sparite nel nulla. A nove mesi dal voto referendario gli adeguamenti ritenuti imprescindibili sembrano ancora lontani dal vedere la luce: vale per i regolamenti parlamentari (i primi, probabilmente, a poter sperare in una riforma), ma anche per i correttivi e per le riforme costituzionali. Che fine hanno fatto, quindi, tutte queste riforme? Ricordiamo che dalla prossima legislatura i deputati passeranno da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200.
La riforma dei regolamenti parlamentari di Camera e Senato
La prima riforma, quella indispensabile per permettere un corretto funzionamento del Parlamento, è quello dei regolamenti di Camera e Senato. Si tratta, in realtà, di due differenti riforme, essendo ogni ramo del Parlamento auto-disciplinato. Le riforme servono per rivedere il funzionamento delle Camere in seguito al taglio dei parlamentari. Cambiano, per esempio, le modalità della verifica del numero legale, del quorum per le votazioni, della presentazione delle mozioni, ma è necessaria anche la revisione del numero minimo di deputati e senatori per formare un gruppo. A questo si aggiunge un ulteriore discorso riguardante adeguamenti tutt’altro che automatici (non solamente numerici, di fatto), come il funzionamento delle commissioni permanenti, dell’ufficio di presidenza, delle giunte e dei comitati. Sia alla Camera che al Senato sono stati creati dei comitati ristretti ad hoc per rivedere i regolamenti. Ma a che punto sono i lavori?
A che punto è la riforma del regolamento della Camera
Come spiegano dalla presidenza della Camera, la Giunta per il regolamento non è ancora stata convocata sul tema della riforma dei regolamenti: i relatori stanno lavorando ai testi (uno è già stato presentato), poi dovranno incontrarsi per trovare una sintesi e presentare un testo in Giunta. Come spiega Emanuele Fiano, deputato del Pd, a Fanpage.it, è possibile che “a giorni” ci sia un incontro tra i relatori, forse “entro giugno”. La riforma, spiega Fiano, è divisa in due aspetti: da una parte ci sono le “misure obbligatoriamente discendenti dal taglio dei parlamentari”, come quelle relative al quorum, alla presentazione degli atti parlamentari, alla richiesta del numero legale o alla composizione dei gruppi. Su questo tema, in realtà, una proposta c’è già: è quella presentata da Simone Baldelli, di Forza Italia, sottoscritta anche da Lega e Italia Viva.
Lo stesso Baldelli spiega che si tratta di una “riforma minima” con un semplice adeguamento dei numeri alla nuova composizione – ridotta – della Camera. Per esempio per comporre un gruppo servirebbe almeno 13 deputati (non più 20), così come il numero minimo per presentare interpellanze urgenti passerebbe da 30 a 19 e quello per la questione pregiudiziale da 20 a 13. Di fatto si tratta di quelle che Federico Fornaro, deputato di Leu, parlando con Fanpage.it definisce “quorum numerici e riproporzionalizzazione della nuova composizione di Camera e Senato”.
C’è poi il secondo aspetto, quello dei cambiamenti non automatici. Il Pd, per esempio, punta a una norma che disincentivi il cambio di gruppo dei singoli deputati, in particolare nei casi di passaggi al Gruppo Misto. Fiano sottolinea come una delle idee – confermata anche da Fornaro – è quella di adeguare il sistema a quello del Parlamento europeo, dove esistono “norme molto stringenti: se esci dal gruppo diventi non iscritto e hai meno mezzi e strumenti”. Si tratta, di fatto, di disincentivi ai cambi di casacca individuali, come spiega Fornaro: “Una delle soluzioni che circola è una formula simile a quella del Parlamento Ue, dove il Gruppo Misto si forma a inizio legislatura”. Mentre chi esce dopo da un gruppo finisce tra i non iscritti. Il che sarebbe “un forte disincentivo” al passaggio da un gruppo all’altro. Altro tema su cui si potrebbe discutere, come spiega ancora il deputato di Leu, è quello di “una riforma più profonda su aspetti come l’attesa di 24 ore per votare dopo la richiesta di fiducia”.
Al Senato la riforma dei regolamenti è più indietro
Al Senato la discussione sulla riforma dei regolamenti sembra essere più indietro. Al momento è tutto fermo, conferma Loredana De Petris di Leu. Dal Pd sottolineano come si sia in attesa delle proposte dei relatori: Calderoli (Lega) e Santangelo (M5s). Proprio dal Movimento viene sottolineato come la discussione sia indietro rispetto alla Camera: gli stessi pentastellati ritengono non sia necessario ampliare l’intervento a ulteriori riforme oltre quelle di adattamento numerico. Secondo le previsioni di Santangelo i testi potrebbero essere pronti tra una ventina di giorni. Solo a quel punto la discussione potrebbe essere portata in Giunta.
I punti comuni tra Camera e Senato
Le due riforme, quindi, procedono in parallelo. Ma c’è almeno un punto su cui un coordinamento è fondamentale: “Anche se alla Camera non è necessario, il Senato è invece obbligato a modificare il numero delle commissioni permanenti, con una riduzione dei senatori i numeri diventano complicati da gestire”, spiega Fiano. E se ci sarà un accorpamento delle commissioni al Senato sembra quasi inevitabile che succeda lo stesso anche alla Camera, per garantire maggiore facilità di azione al Governo e al Parlamento stesso. D’altronde, sottolinea Fornaro, “se le commissioni cambiano al Senato si pone un problema di opportunità di avere commissioni diverse”. Ma per ora non c’è una linea comune. Per questo Baldelli propone di approvare subito la proposta relativa alla riforma degli aspetti numerici del regolamento: “Poi, una volta che riduci le commissioni al Senato, allora anche alla Camera ti poni il problema. Approviamo prima questa proposta e poi vediamo il resto”. Una conclusione sulle riforme dei regolamenti, comunque, potrebbe arrivare entro l’estate, secondo Fornaro.
I correttivi costituzionali dopo il taglio dei parlamentari
Il taglio dei parlamentari comporta la necessità di procedere con quelli che sono dei correttivi all’attuale assetto istituzionale. Non solo la discussione sulla legge elettorale, che al momento è ferma, ma anche delle mini-riforme costituzionali. Da questo punto di vista la proposta in campo è quella presentata da Fornaro: un testo di legge, in due articoli, che cambia la base elettorale del Senato da regionale a circoscrizionale per “evitare gli effetti della riduzione della rappresentanza con un recupero dei resti a livello nazionale e la possibilità di un sistema elettorale gemello tra Camera e Senato che aumenta le possibilità di avere una stessa maggioranza in entrambe le Camera”; il secondo articolo, invece, prevede un semplice calcolo matematico: se vengono ridotti di un terzo parlamentari allora devono essere ridotti di un terzo anche i delegati regionali per l’elezione del presidente della Repubblica: con questa riforma passerebbero da tre a due. La proposta è attualmente incardinata, ma finora è stata discussa solo in commissione. Va comunque sottolineato che, almeno per quanto riguarda la parte relativa all’elezione del presidente della Repubblica, l’applicazione della riforma non varrebbe per la prossima scelta del capo dello Stato (prevista nel 2022) ma se ne parlerebbe tra qualche anno.
Quali riforme costituzionali dopo il taglio dei parlamentari
Il terzo e ultimo aspetto è quello riguardante le riforme costituzionali conseguenti al taglio dei parlamentari. Qui non c’è alcun automatismo e si tratta solamente di volontà politica. Di proposte in campo ce ne sono varie, ma nessuna è stata presa in considerazione. C’è, per esempio, il Pd che ha chiesto di dire addio al bicameralismo perfetto, ma c’è anche Forza Italia che in questi giorni, con Simone Baldelli, sottolinea la necessità di rivedere l’assetto istituzionale passando a un sistema monocamerale. Al momento, però, l’unica riforma di cui si discute per davvero è quella del voto ai 18enni: è stata approvata in prima lettura alla Camera e al Senato e proprio nella settimana del 7 giugno dovrebbe tornare in Aula a Montecitorio. Mancherebbe, quindi, solo un’ultima approvazione a Palazzo Madama. La riforma prevede l’abbassamento dell’età dell’elettorato attivo al Senato da 25 a 18 anni, esattamente come succede alla Camera: vorrebbe dire che tutti i cittadini maggiorenni potrebbero votare per il Senato. Non cambierebbe, invece, l’elettorato passivo: la possibilità di elezione al Senato resta preclusa a chi ha meno di 40 anni. Questa, però, è l’unica proposta realmente sul tavolo. Per altre proposte di riforma costituzionale, invece, la discussione è ferma.