Superbonus e quoziente familiare: cosa ha fatto il governo Meloni, spiegato dagli esperti
In attesa del varo della legge di bilancio, il ridimensionamento del Superbonus al 110 percento va considerato come il primo vero intervento di politica economica del governo Meloni. Un'azione importante, perché riguarda una delle misure più popolari, ma anche più discusse, degli ultimi anni. Abbiamo cercato di mettere in fila i fatti e raccolto il parere di esperti della materia, per spiegare quale sarà ora il destino della detrazione sulle ristrutturazioni edilizie, ma anche capire cosa ci dice questa decisione, sulla visione generale su economia e fisco di Meloni e del suo esecutivo.
I pareri sul Superbonus sono da tempo discordanti. Da una parte c'è chi – in primis Conte e i 5 Stelle, ideatori della provvedimento -, lo considerano uno strumento fondamentale per spingere la crescita economica. Dall'altro lato, invece, si trovano quelli che reputano la misura eccessivamente costosa rispetto ai risultati e regressiva perché ad avvantaggiarsene sarebbero stati soprattutto i ricchi. Quest'ultima posizione sembra quella più vicina al pensiero dell'ex premier Draghi e condivisa anche da Giorgia Meloni e dal ministro dell'Economia Giorgetti.
Tagliare il Superbonus è giusto?
Con il decreto Aiuti quater, uscito dal Consiglio dei Ministri del 10 novembre scorso, lo sconto sui nuovo lavori a partire dal 2023 viene ridotto al 90 percento, con una serie di altri paletti. Raggiunto da Fanpage.it, Alessandro Santoro – professore di Scienza delle Finanze alla Bicocca, già consigliere dell'ex ministro Franco – promuove l'intervento del governo: "Il Superbonus è stata una misura costosissima e trovo coraggioso il fatto che finalmente sia messa in discussione. Non ho mai sentito di altri incentivi che addirittura superino l'importo della spesa sostenuta".
I supporter della misura ritengono invece che la portata straordinaria dello sgravio sia compensata dalle maggiori entrate fiscali e dalla spinta alla crescita del pil, facendosi forza da ultimo sui recenti dati pubblicati in una ricerca del Censis. Al contrario, un altro esperto consultato da Fanpage sostiene che il taglio al Superbonus fosse necessario. "Sono stati spesi finora 60 miliardi, per ristrutturare il 5-6% del patrimonio immobiliare italiano", spiega Leonzio Rizzo, professore di Scienza delle Finanze all'Università di Ferrara. E prosegue: "Non aver messo nessun tetto di reddito per l'accesso ha favorito i ricchi. Se tu hai una casa che vale 400-500 mila euro, i costi della ristrutturazione sono molto più alti, rispetto a una casa di centomila euro di valore, quindi il guadagno è maggiore. Da queste distorsioni, è nato un esborso per lo Stato, che ha già sforato di 30 miliardi quello previsto".
Dopo l'intervento del governo, il quadro è destinato a cambiare. Al netto delle procedure già avviate, per cui comunque è prevista una serie di vincoli, dal 2023 lo sconto scenderà al 90 percento. La nuova aliquota si applicherà senza limiti ai condomini. Mentre per accedere alle detrazioni, i proprietari di unità unifamiliari, le cosiddette villette, dovranno avere un reddito entro i 15mila euro, soglia che come vedremo ha suscitato qualche perplessità. Il tetto si alza in base al numero di componenti del nucleo famigliare, sulla base di un "quoziente familiare" (di cui ci occuperemo meglio più avanti), che prende il posto dell'Isee, l'indicatore fino a oggi usato per valutare la situazione economica delle famiglie italiane.
Un regalo agli evasori?
Secondo questo calcolo, una coppia con due figli dovrebbe avere un reddito complessivo di 40-45mila euro l'anno, per usufruire della detrazione. In altre parole, il bonus sarà riservato a nuclei con reddito medio-basso, ma con villette unifamiliari di proprietà. Quanto è realistico questo scenario? In attesa che la relazione tecnica del decreto dettagli la platea interessata alla misura, si sono fatte alcune ipotesi. Ci sono certo i casi di famiglie anche povere o quasi povere, con case di proprietà, magari ereditate. Alcuni osservatori, però, hanno parlato di un parametro tagliato su misura per gli evasori fiscali, tanto più che il nuovo metodo di calcolo della soglia di accesso, considera solo i redditi, senza contare le proprietà mobiliari e immobiliari.
"Ogni criterio basato sul cosiddetto test dei mezzi, quando i mezzi sono inquinati dall'evasione, si presta a possibili distorsioni", dice a Fanpage il professor Alessandro Santoro. "Da questo punto di vista – prosegue -, basarsi esclusivamente sul reddito, invece che considerare anche il patrimonio non è del tutto condivisibile". La conclusione però è cauta: "Il rischio c'è, ma è difficile immaginare un'alternativa per aiutare le fasce più bisognose".
Anche il professor Leonzio Rizzo non sposa la teoria di un regalo agli evasori: "Il fatto di aver escluso il patrimonio dal calcolo, potrebbe essere un favore alle rendite, ma è azzardato dire che una soglia così bassa avvantaggi gli evasori. L’obiettivo è quello di favorire chi ha livelli di reddito bassi, poi sta allo Stato controllare se chi dichiara, ha detto vero".
Sta di fatto che lo stesso governo sembra essersi reso conto che la via per accedere alla nuova versione del Superbonus rischia di essere troppo stretta. Tanto che, nello stesso decreto in cui si riscrivono le regole per l'accesso, si istituisce un fondo pubblico per contribuire alle spese dei lavori, per i soggetti interessati a ristrutturare le proprie case con la nuova detrazione, ridotta al 90 percento.
Per entrambi gli esperti consultati da Fanpage, in ogni caso, il calo dal 110 al 90 percento, deve essere solo un passaggio intermedio, se si vuole rendere l'incentivo sostenibile a lungo termine. "La filosofia di riportare la dimensione del bonus da generalizzato a selettivo è corretta", dice Santoro. E per Rizzo: "Bisognerebbe abbassare la soglia della detrazione fino al 65 percento. È la stessa filosofia del ticket farmaceutico, senza ticket la gente prendeva medicine a iosa e poi le buttava via. Qui è successa la stessa cosa".
Il caso del quoziente familiare
Più che sul tetto di reddito, dunque, le critiche all'intervento del governo si concentrano sul nuovo metodo di calcolo della situazione economica delle famiglie. Nella conferenza stampa dopo il Consiglio dei Ministri, Meloni ha spiegato come l'uso del quoziente familiare come porta di accesso al Superbonus sia un'esperimento, da allargare nei prossimi mesi ad altre prestazioni, fino a costituire la base su cui costruire la futura riforma del sistema fiscale.
"Sostituire l'Isee con il quoziente familiare per determinare l'accesso ad alcuni servizi o ad alcuni benefici, significa non tenere conto della situazione patrimoniale", spiega Leonzio Rizzo. "Mi sembra una questione ideologica – prosegue -, per cui il patrimonio è considerato intangibile. Ma in questo modo, famiglie con redditi simili, ma con patrimoni anche molto diversi tra loro, vengono trattate allo stesso modo".
Sulla stessa linea, anche Alessandro Santoro: "L'Isee è un criterio che in teoria dovrebbe servire per tutti i provvedimenti di welfare. Se si cominciano a fare eccezioni, si toglie coerenza al sistema". Santoro ammette che nel caso del Superbonus, non si parla di una misura di natura sociale, ma prosegue: "Avrei preferito si usasse l'Isee perché mi sembra uno strumento più equo". E conclude: "L'obiezione classica sull'Isee è che sia troppo complicato, che nessuno lo faccia. Ma, dopo l'introduzione dell'assegno unico per i figli, questo non è più vero. Oggi circa 11 milioni di nuclei familiari lo ha calcolato".
La distorsione potrebbe diventare più seria se, come scritto nel programma elettorale, Meloni introducesse l'uso del quoziente familiare nel calcolo dell'Irpef. È vero che questo avvantaggerebbe le famiglie numerose, ma potrebbe disincentivare l'occupazione femminile. Il perché lo spiega ancora Rizzo: "Sarebbe sfavorito il contribuente tra i due coniugi con il reddito più basso. E per come è strutturato il mercato del lavoro in Italia, purtroppo, si tratterebbe soprattutto delle donne".
Con il quoziente familiare, infatti, si calcolerebbe un'aliquota marginale media per entrambi i coniugi, a metà tra quella del contribuente più ricco e quello più povero. Prendiamo, ad esempio, una famiglia in cui l'uomo con ha un reddito di 50mila euro e la donna di 15mila. Tutti e due si troverebbero a pagare l'Irpef, come se avessero un reddito di 25mila euro. Una percentuale conveniente per l'uomo, ma molto meno per la donna. Risultato, conclude Rizzo: "Ci sarebbe meno incentivo per la a donna a lavorare. Converrebbe che la moglie non lavori o che lavori di più il marito".