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Sull’immigrazione Meloni richiama la vicenda dello “speronamento” di Rackete e rilancia fake news

Giorgia Meloni chiama in causa la vicenda dello ‘speronamento’ da parte della nave Sea Watch, che in realtà non c’è mai stato, e utilizza l’accordo sul nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo per fare propaganda sull’immigrazione.
A cura di Annalisa Cangemi
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Durante l'intervento in Aula della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, parlando dell'immigrazione, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha attaccato ancora una volta le ong, rilanciando però una fake news: "Voglio dire che sono fiera di essere arrivata alla guida di questa nazione quando era lanciata a folle velocità verso la cancellazione dei confini nazionali, il riconoscimento del diritto inalienabile alla migrazione e quindi ad essere accolti in Europa senza vincoli e senza distinzioni, il divieto di adottare qualsiasi misura di contenimento dell'immigrazione illegale, arrivando perfino a legittimare chi sperona le navi dello Stato italiano; e di ritrovarmi oggi a rappresentare una Nazione che si fa portatrice di una visione diametralmente opposta".

La premier si riferisce alla vicenda del 29 giugno 2019, quando Carola Rackete, comandante della nave tedesca Sea Watch 3,  venne accusata di aver forzato un posto di blocco della Guardia di Finanza per entrare in porto e far sbarcare oltre 40 migranti a Lampedusa. Quel caso però è stato archiviato, dopo che la Cassazione nel 2020 ha respinto il ricorso della procura di Agrigento contro l'ordinanza con cui il gip di Agrigento aveva provveduto a non convalidare gli arresti domiciliare per la capitana. Secondo la Cassazione Rackete aveva rispettato "l’obbligo di prestare soccorso in mare" entrando nel porto di Lampedusa con la sua nave, perché il suo dovere di soccorrere i naufraghi non si era esaurito semplicemente sottraendo i naufraghi "al pericolo di perdersi in mare, ma comporta l’obbligo accessorio di sbarcarli in un luogo sicuro". Eppure Meloni in Aula ha richiamato quell'episodio per far forza alla propaganda del governo contro l'immigrazione clandestina e contro le organizzazioni umanitarie.

A Meloni ha risposto la stessa Sea Watch: "Non fu speronamento. Fu ingresso in porto in stato di necessità con naufraghi stremati, ostaggio da 18 giorni della propaganda sovranista. Fu, secondo la Cassazione, "adempimento di un dovere". Presidente Giorgia Meloni, disconosce la massima autorità di giustizia del Paese?", ha scritto l'ong.

Anche l'onorevole Riccardo Magi ha replicato alla presidente del Consiglio: "La claque dai banchi del governo era qualcosa che non si era mai visto in quest'aula e la replica è la parte che viene meglio alla presidente Meloni perché le consente di fare l'opposizione all'opposizione. Per un momento infatti ho sperato che Giorgia Meloni chiedesse scusa all'aula e ai cittadini per aver chiamato, quanto accaduto a Lampedusa esattamente 4 anni fa, il 29 giugno del 2019, ‘speronamento' di navi dello Stato italiano da parte di Carola Rackete. È una menzogna quella di Meloni: ero su quella nave, rivendico di esserci salito ed esserci rimasto, e c'è stata una sentenza della Cassazione che ha riconosciuto che Rackete ha agito nel rispetto delle leggi e degli obblighi internazionali", ha ricordato il segretario di Più Europa, durante le dichiarazioni di voto sulle comunicazioni della premier in vista del Consiglio Europeo.

La retorica ipocrita sul nuovo Patto sulla migrazione e l'asilo

Quella sulla vicenda di Carola Rackete non è l'unica imprecisione che si può rintracciare nel discorso si Meloni. La presidente del Consiglio rivendica infatti la scelta fatta dall'Italia sul nuovo Patto sulla migrazione e l'asilo.

Nell'accordo è previsto che tutti gli stati partecipino alle redistribuzione dei migranti con una quota minima di 30mila ricollocamenti all’anno. In alternativa possono versare un contributo di 20mila euro a migrante al fondo comune per la gestione delle frontiere esterne. L'Italia è riuscita nella trattativa europea a far passare la sua linea: i 20mila euro per ogni migrate non accolto, pagati dai singoli Stati, non vanno quindi direttamente alla nazione che ha in carico la persona da ricollocare, ma a un fondo Ue che verrà appositamente creato, che dovrebbe favorire accordi e patti con Paesi terzi, affinché si blocchino le partenze dei migranti, evitando che arrivino in Europa. Perché, ancora una volta, l'obiettivo è la difesa dei confini esterni dell'Europa, che l'esecutivo considera cruciale per gestire il dossier migratorio. Sostanzialmente un'altra declinazione della politica di esternalizzazione delle frontiere.

"Proponevano che gli Stati che dovessero rifiutare i ricollocamenti dei migranti pagassero quelli che dovevano ricollocare i migranti. Ma io – ha sottolineato – non avrei mai accettato di essere pagata per trasformare l'Italia il campo profughi d'Europa".

"Quello che abbiamo chiesto e ottenuto è che quelle risorse alimentino invece un fondo per difendere i confini esterni. Non per gestire l'immigrazione illegale, ma per contrastarla. Il vero nodo della questione per noi rimane uno: distinguere i migranti economici da chi ha diritto invece alla protezione internazionale. Sono due materie molto diverse che per anni sono state colpevolmente sovrapposte". 

È vero quindi che l'Italia non prenderà soldi per ogni migrante accolto, e non ci sarà una compensazione in denaro per i ricollocamenti, ma non per una questione etica o di "dignità", come hanno provato a farla passare il governo e il ministro dell'Interno Piantedosi, ma semplicemente perché, come ha ammesso la stessa Meloni oggi in Aula, "i ricollocamenti non sono mai stati la nostra priorità", e perché il governo non vuole fare dell'Italia il "centro di raccolta dell'Europa". 

Secondo Meloni "il tema non è se ti pagano o no, è che mettiamo le risorse per la dimensione esterna: io non ho mai pensato che si dovesse solo scaricare il problema su un'altra Nazione e questo è una politica un po' più seria che dire facciamo entrare tutti ma poi ve li dovete prendere voi". 

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