Forse è giusto così: niente scorciatoie, niente desistenze. Il Movimento Cinque Stelle sceglie, per mano della maggioranza bulgara dei suoi iscritti, di correre in Emilia-Romagna e in Calabria – e di farlo da solo – complicando la vita agli alleati del governo del Pd, che attualmente amministrano le due regioni, e mandando in soffitta l’ipotesi di alleanza strutturale – o Patto Civico: chiamatela come volete – proposta per primo proprio da Luigi Di Maio in una lettera al quotidiano La Nazione e più volte auspicata dai maggiorenti Dem, Franceschini in primis, e naufragata rovinosamente al primo tentativo, quello delle regionali umbre.
Forse è giusto così, ma è un regalo fin troppo generoso per Matteo Salvini, che oggi è davvero nelle condizioni migliori per vincere la madre di tutte le battaglie, quella delle elezioni in Emilia – Romagna, regione che il centrosinistra amministra da quando esiste. L’impatto di una sconfitta sarebbe rovinoso per il Pd di Nicola Zingaretti, che difficilmente potrebbe sopravvivere in sella al partito in caso di sconfitta. Non solo però: difficile pensare che una maggioranza giallorossa possa sopravvivere dopo una sconfitta figlia della scelta dei Cinque Stelle di non agevolare il cammino di Stefano Bonaccini verso la rielezione. E se si rompe la maggioranza, ça va sans dire, non solo cade il governo, ma non ci sarebbe alcuna alternativa alle elezioni, con una legge elettorale, il Rosatellum, delegittimata dal referendum leghista, che ha passato giusto oggi l’esame della Cassazione e dalla legge che ha dimezzato il numero dei parlamentari.
Per Salvini – meglio: per chi ha ordito il ribaltone d’agosto – sarebbe la nemesi del Papeetee. Il caos in cui finirebbe l’Italia sarebbe tutto imputabile alle forze di maggioranza, incapaci di gestire una sconfitta politica e di dare al Paese un assetto stabile. Salvini, da pericolo per la democrazia, finirebbe per legittimarsi come uomo d’ordine, responsabile, quello che l’aveva detto che sarebbe finita così – e in effetti sì, l’aveva detto, dovesse davvero finire così.
Comunque vada, invece, per Di Maio e il Movimento sarà comunque un disastro. La sua sopravvivenza al governo dipende dalla vittoria di Bonaccini e del Pd in Emilia – Romagna, e quindi da una rovinosa sconfitta del Movimento, cannibalizzato dalle Sardine. Al contrario, un’affermazione del Movimento sulla via Emilia potrebbe darebbe probabilmente il là alla vittoria di Salvini, alla caduta del Conte Bis, a nuove elezioni e al più che probabile dimezzamento dei parlamentari del Movimento, che si ritroverebbero a guardare Salvini dall’opposizione, mentre piazza ovunque le sue pedine insieme a Meloni e Berlusconi, dalle aziende partecipate al Quirinale.
Intendiamoci: pure avessero vinto il Si al pit stop elettorale del Movimento la strada sarebbe stata comunque stretta, la vittoria in Emilia – Romagna tutt’altro che scontata e la sopravvivenza del governo appesa al filo delle contraddizioni interne e del dissenso esterno. Così, di fatto, è quasi una resa senza condizioni alla narrazione del Capitano, quella della maggioranza innaturale e del governo illegittimo. Una narrazione certificata dal 70% dei votanti su Rousseau, che a sua volta certifica l'inconsistenza politica del Movimento, completamente in balia degli umori del suo elettorato e incapace di una scelta chiara sul suo posizionamento politico: soli, poi con la Lega, poi con il Pd, poi ancora soli, perdendo voti ogni volta. Davvero, chapeau.