Su cosa hanno ragione e su cosa hanno torto gli agricoltori che protestano con i trattori a Sanremo
Da alcune settimane in diverse parti d'Italia ha preso piede la protesta degli agricoltori: decine di trattori hanno bloccato il traffico in varie città e snodi autostradali, minacciando di arrivare a Roma e al festival di Sanremo. L'iniziativa alle porte della capitale si è sgonfiata, mentre sul palco dell'Ariston si è raggiunto un compromesso: Amadeus leggerà un comunicato, concordato con il comitato Riscatto agricolo. Le rivendicazioni del movimento dei trattori sono molto numerose, anche perché non c'è un'organizzazione condivisa ma diversi comitati con ragioni diverse, ma è comunque possibile mettere in fila le loro motivazioni condivise e capire quali hanno un fondo di verità e quali, invece, no.
Cos'è la Pac e perché gli agricoltori chiedono di cambiarla
Molte delle critiche lanciate dagli agricoltori in protesta si rivolgono all'Unione europea. Su questo fronte, sono soprattutto due le cose che vengono attaccate: la Pac, o Politica agricola comune, e il Green deal, cioè il piano di riforme per la tutela dell'ambiente che ha l'obiettivo di portare l'Ue a zero emissioni nette nel 2050.
La Pac è il principale strumenti con cui l'Unione europea determina i fondi per il sostegno al mondo agricolo. Da sola, la Pac vale circa il 30% di tutto il bilancio europeo, ed è nettamente la voce più costosa al suo interno. Nel periodo dal 2023 al 2027, la Pac richiederà più di 300 miliardi di euro, con 264 miliardi messi direttamente dall'Ue e 43 miliardi dai singoli Stati.
Due sono le lamentele rivolte alla Pac dagli agricoltori: la prima è che in realtà i fondi vanno soprattutto alle grandi aziende, e non ai piccoli agricoltori locali. Sul punto, il deputato di Luigi Marattin ha commentato facendo notare che "quando il mercato era nazionale" si puntava sulle aziende più piccole, mentre oggi gli aiuti europei vanno soprattutto ai più grandi. Non per "ammazzare le piccole imprese", ma perché "sul mercato globale serve aiutare la dimensione d'impresa". Infatti, tra gli obiettivi dichiarati della Pac c'è l'aumento della competitività a livello mondiale, e si sottolinea che negli ultimi anni in Ue è diminuito il numero di imprese agricole mentre sono rimasti costanti gli ettari coltivati. Ovvero, le aziende esistenti si sono unite e allargate.
La seconda critica rivolta spesso alla Pac è che gli obblighi previsti dalla nuova versione della Pac siano troppo stringenti e a volte irragionevoli. Uno dei più citati è l'obbligo di tenere incolto il 4% dei propri terreni, con lo scopo di aumentare la biodiversità. Questo obbligo di fatto finora non è mai stato applicato perché inizialmente, nel 2023, è stato sospeso, mentre nel 2024 è stato rinviato in seguito alle proteste.
Quali sono i problemi con il Green deal europeo
L'altro tema contestato all'Unione europea è quello del Green deal, un insieme molto ampio di misure contro l'emergenza climatica. Non tutte riguardano l'agricoltura, e anzi in passato per questo settore c'è stato un riguardo particolare. Ad esempio, gli allevatori non sono tenuti a versare la carbon tax per le emissioni inquinanti, nonostante il loro comparto sia uno di quello con i più alti livelli di emissioni nell'Unione europea.
Una delle misure contestate che sarebbero rientrate nel pacchetto del Green deal era la riduzione dell'uso dei pesticidi e fitofarmaci, che però pochi giorni fa la Commissione europea ha ritirato: "Gli agricoltori sono i primi a risentire degli effetti del cambiamento climatico", ha sottolineato la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, aggiungendo: "È vero, negli ultimi anni i problemi si sono aggravati. I nostri agricoltori meritano di essere ascoltati". La proposta sui pesticidi era già stata bocciata a novembre dal Parlamento europeo. L'obiezione del mondo agricolo è che si volessero ridurre i fitofarmaci senza che sia disponibile un'alternativa migliore.
Cosa vuole fare l'Italia con le accise del gasolio
Ci sono poi le richieste rivolte non all'Europa, ma al governo italiano. Una di queste è di mantenere le accise ridotte sull'acquisto di gasolio e benzina per scopi agricoli. L'Italia ogni anno spende circa 900 milioni di euro per tenere più basse le accise sul carburante per i lavori agricoli, principalmente il gasolio.
Dall'anno scorso questa spesa è considerata un Sad, cioè un sussidio ambientalmente dannoso (nel complesso, i Sad all'agricoltura valgono 2,2 miliardi di euro all'anno). Perciò è possibile che nei prossimi anni si lavorerà per cercare di ridurla. Al momento però questa proposta non è stata avanzata da nessuna forza politica, a differenza di quanto avvenuto in Germania e in Francia.
L'Irpef è davvero diventata più alta per gli agricoltori
Un'altra rivendicazione indirizzata al governo italiano è quella sulla tassazione, in particolare l'Irpef. In questo caso, gli agricoltori hanno ragione a dire che l'imposta sul reddito è stata alzata: lo ha fatto il governo Meloni, nella sua legge di bilancio per il 2024. Dal 2017 e fino all'anno scorso i cosiddetti redditi agrari, cioè quelli derivati dalla lavorazione di un terreno, erano completamente esclusi nel momento in cui un contribuente doveva calcolare le sue entrate per pagare l'Irpef.
Da quest'anno, invece, l'esenzione è saltata. In questo modo, cancellando l'agevolazione, lo Stato ha risparmiato poco meno di 250 milioni di euro all'anno. Gli agricoltori, invece, si sono ritrovati a dover pagare somme più alte per versare l'Irpef. Tanto che il governo Meloni ora si è impegnato a ripristinare l'esenzione, anche se solo per chi ha un reddito basso.
Per completezza, va detto anche che i coltivatori diretti e gli imprenditori agricoli sono esentati dal pagamento dell'Imu sui terreni agricoli che possiedono. E lo stesso vale per l'Irap, l'imposta regionale sulle attività produttive: chi esercita un'attività agricola non la deve versare.
Contro la concorrenza, dall'Italian sounding alla farina di insetti
Una parte della protesta è rivolta in generale alla troppa concorrenza ‘sleale' che esisterebbe nei confronti degli agricoltori italiani e del Made in Italy. Da una parte, questo significa contestare che in Italia vengano importati troppi prodotti alimentari da Paesi al di fuori dell'Unione europea che non hanno gli stessi regolamenti da rispettare in materia sanitaria e di produzione.
Perciò, è naturale che i prezzi siano più bassi e attirino più clienti, mentre chi produce in Italia e in generale in Europa si trova a dover seguire regole più stringenti e quindi a dover alzare i prezzi. E lo stesso vale per i prodotti "Italian sounding" venduti all'estero, che fanno concorrenza a quelli italiani tramite nomi assonanti. Un esempio tra i più noti è il formaggio Parmesan, prodotti in diversi Paesi anglofoni, che ovviamente ha un prezzo più basso del Parmigiano reggiano ma ai consumatori stranieri appare molto simile.
Dall'altra però la contestazione alla concorrenza si allarga a questioni come la ‘carne sintetica‘, o meglio carne coltivata. In questo caso, la richiesta di impedirne l'importazione ha poco senso: la carne coltivata è venduta in pochissimi Paesi, e anzi l'Italia è stata tra i primi a vietarla. Oltre ai cibi ‘sintetici' gli agricoltori si sono scagliati anche contro gli insetti: anche in questo caso però si tratta di una paura rivolta soprattutto a futuro ipotetico e piuttosto lontano, considerando che solo negli ultimi anni sono arrivati i primi interventi regolatori per prodotti come la farina di insetti.
Un'ultima faccia delle difficoltà economiche denunciate dagli agricoltori è quella della grande distribuzione. In particolare, la recriminazione è che i prodotti agricoli vengano comprati a prezzi bassissimi dai distributori, e poi rivenduti ai clienti nei supermercati a un prezzo molto più alto. Così, i profitti finiscono in mano alle aziende di distribuzione e non a chi ha coltivato il cibo. Su questo aspetto, è piuttosto ridotta la possibilità di incidere a livello politico.
Alcuni gruppi di agricoltori hanno chiesto anche che venga tolta l'Iva sui prodotti alimentari primari, per rendere i prezzi più bassi. È una possibilità di cui si parla da tempo, che però avrebbe costi altissimi per lo Stato.