E così, Stefano, non sei caduto dalle scale. Non hai sbattuto sulla porta, distratto da una mosca. Non sei morto di anoressia, di solitudine o di sonno.
E neanche sei morto per droga, come sosteneva Carlo Giovanardi.
Ti hanno gonfiato come una zampogna, si dice dalle mie parti, cioè ti hanno ammazzato di botte in una caserma, come ha confermato ieri la Corte di Cassazione.
Ci sono voluti 13 anni e sono stati 4745 giorni di fango e di merda buttati addosso a te e a tua sorella Ilaria, sarai orgoglioso di lei, ti svelo un segreto: tutte le persone per bene che conosco lo sono.
E' strano esseri felici per una sentenza di condanna, però oggi lo sono.
Sono contento perché le Forze armate non meritano degli assassini preterintezionali al loro interno.
Sono contento perché la parte sana all'interno delle Forze dell'Ordine ha dovuto convivere con un peso non meritato.
Sono contento perché giustizia a te significa meno possibilità che quello che è accaduto "sulla tua pelle" possa ripetersi.
Sono contento per gli esseri più piccoli di questo Paese, i baby, perché da grandi avranno qualche speranza in più di vivere davvero liberi.
Sono contento perché tua sorella Ilaria in questi anni ha sofferto moltissimo, e tutti intorno a te, e a lei.
Stefano, c'è un aneddoto sui tuoi familiari che mi è rimasto appiccicato addosso. Ricordo quando Ilaria raccontò come i tuoi genitori guardassero ogni sera il film "Sulla mia pelle", quello di Alessio Cremonini, che racconta proprio di te. Come ogni sera si mettessero davanti alla tv e giorno dopo giorno provassero a riviverti attraverso quelle immagini che però rimandavano alla tua morte. Poi fu sempre Ilaria, mi sembra, che un giorno disse loro di smetterla, di spegnere la tv. Non credo l'abbiano ascoltata.
Oggi sono contento anche per me, sai? L'aria intorno resta torbida però un po' meno, la sentenza l'ha rischiarata. Oggi c'è un profumo diverso nell'aria, e continueremo a pensare a questa storia con rabbia, ma con un finale giusto.
Ora sarebbe il momento che la politica che fino a oggi ha sputato addosso a te, Stefano Cucchi, quella politica che si è fatta i like e ha richiesto e ottenuto i voti difendendo quelli che si sono rivelati i colpevoli, chiedesse scusa.
Te lo dico io: non lo farà. Troveranno scuse, giustificazioni, attenuanti. Passeranno sulle loro colpe come provarono a fare con quelle delle Forze dell'Ordine: non le videro. Oggi cercheranno un fatto di cronaca in un trafiletto di un giornale locale, guarderanno il nome e se corrisponderà alla loro idea di straniero, condivideranno quello sui propri profili social. Morto scaccia morto è il loro gioco.
Al massimo diranno: "Le sentenze non si commentano", quando invece non gli si chiede di commentarla, ma di inginocchiarsi e a carponi procedere fino alla tua tomba e chiederti scusa. Una cosa semplice, dopotutto, che per qualcuno che ha fornito manovalanza mediatica alle tesi più bieche emerse in questi anni dovrebbe essere il minimo.
Oggi lo sappiamo: Stefano Cucchi non è morto perché è scivolato, per una saponetta in bagno o il lucido sulle scale. Non è morto per una canna o una dose, non è morto neanche all'improvviso, ci sono voluti gli scarponi in faccia dopo essere stato buttato a terra. Insomma si sono impegnati per ammazzarlo, ma oggi possiamo dirlo: non ci sono riusciti del tutto.