video suggerito
video suggerito

Spionaggio ai danni di Giulio Tremonti: la Procura di Roma apre un fascicolo

Il Procuratore capo di Roma Giuseppe Ferrara ha aperto un fascicolo a seguito delle dichiarazioni che il Ministro dell’Economia rilasciò giorni fa ad alcuni giornali. Tremonti disse di sentirsi “spiato, controllato, in qualche caso pedinato”.
A cura di Alfonso Biondi
3 CONDIVISIONI
Tremonti

La Procura di Roma ha aperto un fascicolo a seguito delle dichiarazioni che Giulio Tremonti aveva rilasciato qualche giorno fa ad alcuni operatori dell'informazione, tra cui il quotidiano La Repubblica. Nel giustificare la scelta di alloggiare dall'amico Milanese e non più in albergo o presso la caserma della Guardia di Finanza, il titolare del dicastero dell'economia aveva dichiarato di sentirsi spiato e, in certi casi, addirittura pedinato. Insomma si sentiva molto più sicuro a stare a casa di Marco Milanese,  il suo braccio destro poi coinvolto nello scandalo P4.

Il fascicolo è stato aperto dal Procuratore capo Giovanni Ferrara come "atti relativi a": in pratica si tratta di un fascicolo che non contiene né indagati né ipotesi di reato ma soltanto alcuni articoli di giornale che riportano delle affermazioni del superministro. Quello che Ferrara intende appurare è se quanto riferito dal Ministro sia solamente frutto di sensazioni o se, al contrario, sia la denuncia di una vera e propria attività di spionaggio. Giulio Tremonti dovrebbe quindi essere sentito come testimone, verosimilmente dopo l'estate. Non pare invece essere in programma l'audizione degli uomini della sua scorta.

LE DICHIARAZIONI DI TREMONTI- Sin dalla legislatura 2001-2006, quando era costretto a restare a Roma per lavoro, Giulio Tremonti aveva sempre optato per soluzioni in albergo o in caserma: “Per le tre sere a settimana che da più di 15 anni trascorro a Roma– aveva dichiarato a La Repubblica- ho sempre avuto soluzioni temporanee, in albergo o in caserma”. Dal febbraio del 2009, però, il Ministro decise di accettare l’ospitalità di Milanese. E il perché non se lo sarebbe immaginato nessuno: “La verità è che, da un certo momento in poi, in albergo o in caserma non ero più tranquillo. Mi sentivo spiato, controllato, in qualche caso persino pedinato”. Ma di chi era questo fiato sul collo? Per capirlo dobbiamo tornare allo scorso 17 giugno, quando cioè il superministro si trovava a colloquio col pubblico ministero Piscitelli. Piscitelli gli fece ascoltare una telefonata tra Silvio Berlusconi e il Capo di Stato Maggiore Michele Adinolfi, sentita la quale Tremonti rivelò che all’interno della Guardia di Finanza si erano formate delle cordate in vista della nomina del prossimo comandante generale e che “alcuni rappresentanti di quel Corpo sono in stretto contatto con il Presidente del Consiglio”. Nella guerra tra fazioni, Tremonti capì di essere attenzionato dalla banda “amica” del Presidente del Consiglio, tant’è che decise di telefonare a quest’ultimo per lamentarsi della cosa. Il generale Adinolfi confermò poi questa paura di Tremonti in un interrogatorio del 21 giugno sempre davanti al pm Piscitelli. A detta del generale, Berlusconi convocò il Ministro e, anche in presenza di Adinolfi, lo rassicurò. Ma forse servì a poco. Adesso toccherà alla Procura di Roma capire se quelle del Ministro erano solo suggestioni o se, effettivamente, sotto c'era qualcosa di più.

3 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views