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Spese militari, perché il governo Draghi traballa sul rispetto degli impegni Nato

Continua lo scontro tra Conte e Draghi sull’aumento delle spese militari al 2% del Pil e la maggioranza di governo si spacca, con il Pd che prova a fare da pontiere.
A cura di Giacomo Andreoli
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Sull'aumento delle spese militari al 2% del Pil il governo Draghi sta vacillando. L'ex premier Giuseppe Conte, infatti, non arretra. Secondo il leader del Movimento 5 stelle, che prova a portarsi dietro (con qualche difficoltà) tutti i grillini, questo non è il momento per prevedere 15 miliardi di investimenti aggiuntivi nella Difesa, vista la crisi economica in corso. Il presidente del Consiglio, invece, non si scompone, e ha ribadito anche ieri a Conte che l'impegno verrà mantenuto. Poi è andato a informare il Capo dello Stato Mattarella, con Palazzo Chigi che ha lasciato filtrare un commento al vetriolo: "Se ci si sottraesse verrebbe meno il patto che tiene in piedi la maggioranza". Il leader dei 5 stelle ha quindi risposto di non volere alcuna crisi di governo.

L'aumento delle spese è un impegno che l'Italia ha preso ufficialmente con la Nato nel 2014, quando al governo c'era Matteo Renzi e non ha formalmente una data di scadenza. Palazzo Chigi ora ha anche diffuso i dati sul bilancio della Difesa sotto i governi Conte. Nel 2018 la spesa era di circa 21 miliardi, nel 2021 24,6 miliardi, con "un aumento del 17%".

Lo scontro tra Movimento 5 stelle e il resto della maggioranza, intanto, si consuma soprattutto nelle due commissioni di riferimento: Esteri e Difesa. Nella seconda ieri il governo ha accolto un ordine del giorno di Fratelli d'Italia che impegna l’esecutivo proprio ad arrivare alla soglia del 2% del Pil sulle spese militari. Su tutte le furie i vertici pentastellati.  "È inaccettabile – hanno commentato in una nota la vicepresidente Paola Taverna e i senatori Crimi, Ferrara, Licheri, Cioffi e Castaldi- che il governo abbia deciso di accogliere l'ordine del giorno di FdI malgrado la forte contrarietà della principale forza di maggioranza. Malgrado la nostra insistente richiesta, la presidente della commissione Difesa Roberta Pinotti non ha voluto metterlo ai voti. Di cosa ha paura?".

I senatori del Movimento, al netto di singoli voti discordati, dovrebbero comunque votare la fiducia sul dl Ucraina, il cui voto è atteso per domani in Senato. Ma i vertici chiedono che poi non ci siano fughe in avanti sulle spese militari nel Documento di economia e finanza, che il ministero dell'Economia sta preparando assieme al premier Draghi.

Spese militari, il Partito democratico prova il ruolo di mediatore

Intanto Enrico Letta ha seguito "con preoccupazione" l'incontro tra Conte e Draghi. A commentare direttamente la querelle è stato il senatore del Pd Andrea Marcucci, che su Twitter ha scritto:  "Gli accordi internazionali si rispettano, tanto più durante una guerra in Europa. Io sto con Draghi". Con lui tutta la corrente degli ex renziani di Base Riformista. D'altronde anche l'ex leader del Partito democratico, ora a capo di Italia Viva, ha attaccato Conte, dicendo che è "un populista", mentre il premier è "uno statista".

Nel frattempo l'ala lettiana del Pd prova a fare da pontiere tra Movimento 5 stelle e resto della maggioranza, parlando di necessità di adempiere agli impegni presi con la Nato, ma contemporaneamente dare priorità alla lotta al caro-energia e al caro-bollette. Ben più netta la posizione di Forza Italia, che con la ministra Mariastella Gelmini spinge l'esecutivo a non esitare. Stessa nettezza, anche se da un punto di vista opposto, è quella di Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana, che ai microfoni di Fanpage.it parla di una "corsa al riarmo incomprensibile".

La posizione più dubbia, infine, è quella della Lega, con il leader Matteo Salvini che da giorni dice che si parla "con troppa facilità di bombe, armi e missili", riprendendo le parole del Papa. Il capogruppo del Carroccio a Palazzo Madama, Massimiliano Romeo, ha però detto che il gruppo è pronto a sostenere in Parlamento l'impegno a portare la spesa militare al 2%.

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