L’aveva già attaccato il ministro Giorgetti, subito dopo l’insediamento del governo, anche se in campagna elettorale sia Salvini, sia Meloni avevano promesso agli elettori nuovi finanziamenti: il Superbonus del Conte-bis, riconfermato dal governo Draghi, doveva essere un volano per l’economia, ma numerosi problemi ne hanno segnato l’attuazione. Ora, con un decreto legge, il governo Meloni cancella uno degli elementi tipici del bonus, ossia la possibilità di cessione del credito e di sconto in fattura. Il Superbonus e i bonus simili sono carichi di difetti, ideologici e pratici, ma l’intervento dell’esecutivo riesce nell’impresa di non risolverli, e di favorire, ancora una volta, i più ricchi.
Non solo Superbonus: le misure del decreto Rilancio
Ma partiamo dal principio. Alla fine del lockdown, con il decreto Rilancio, il governo Conte-bis regola cinque bonus: superbonus, ecobonus, sismabonus, bonus facciate e bonus ristrutturazioni. Tutte queste misure (alcune già esistenti e semplicemente riformate) prevedono detrazioni fiscali pluriennali dei costi documentati per i lavori edilizi. Questo significa che le spese sostenute danno diritto a un credito di imposta, cioè -semplificando- a una restituzione di parte del denaro attraverso uno sconto sulle tasse, al momento della dichiarazione dei redditi nei successivi cinque anni (o dieci, in alcuni casi).
Per le ristrutturazioni e per i lavori di efficientamento energetico (ecobonus) sono previste detrazioni tra il 50% e il 65%, per il bonus facciate la detrazione era al 90% e poi è progressivamente scesa al 60%. Ma è il Superbonus (come anche il sismabonus) a prevedere una detrazione enorme: il 110%. Questo significa che le spese per i lavori non solo vengono rimborsate dallo Stato, ma viene persino concesso del denaro in più.
Già da un punto di vista teorico, è evidente come una detrazione al 110% sia una misura a perdere. Ma, in sé, non tutte le misure a perdere sono sbagliate.
La tarantella dei numeri: sugli investimenti sono possibili solo stime
La spesa pubblica serve a pagare beni e servizi per garantire diritti alle persone, ma anche a investire e, talvolta, a cercare di stimolare l’economia. Questo significa che non tutte le spese sono superflue e non tutti i risparmi sono virtuosi: se Stato e Regioni decidessero di tagliare le spese socio-sanitarie per le indagini di prevenzione di alcuni tipi di tumore, ci sarebbe senz’altro un risparmio immediato, ma a costo di un maggior numero di diagnosi tardive, con un prezzo economico, di cure, e umano, di sofferenze, ben più alto di quanto si spende per la prevenzione. Possiamo quantificare queste cifre? No. È possibile, al più, fare una stima degli effetti, ipotizzare i costi e valutare, anche secondo la nostra convinzione politica, quale sia l’investimento più opportuno.
Anche per questo sembrano aver poco senso le tarantelle di numeri esibiti in questi giorni dall’una o dall’altra fazione: mentre Meloni e gli esponenti di governo parlano di 2.000 euro a spese di ogni italiano, Conte ha dichiarato che la cifra sarebbe pari a 88 euro per anno. Le due dichiarazioni sono un esempio tipico di cherry picking, ossia di selezione dei soli dati che confermano la propria tesi. Nei calcoli di Conte, si presume l’effetto positivo e moltiplicativo del Superbonus, che rimpolperebbe le casse dello Stato soprattutto attraverso l’aumento del gettito fiscale: si tratta però, per l’appunto, di stime, da presentare e valutare con cautela. La teoria di Giorgetti, Meloni e altri politici di destra è invece estremamente semplicistica, oltre che scorretta, dal momento che ci si limita a dividere la spesa complessiva per i bonus (compresi quelli diversi dal Superbonus, che esistevano già prima) per il numero di italiani, senza calcolare né il ritorno di gettito fiscale, né gli effetti sull’economia, e attribuendo l'intera spesa alla sola misura che si intende criticare.
I problemi episodici e di applicazione: frodi e truffe nella cessione dei crediti
La fallacia numerica degli esponenti del governo Meloni non implica però che il Superbonus sia una misura virtuosa. Esistono anzi diversi problemi, alcuni derivanti dall’applicazione, e dalla reazione del tessuto sociale ed economico, altri sottesi alla scelta politica di immettere capitali in questo modo.
Innanzitutto, il problema delle truffe, che sembra discendere direttamente da uno degli elementi caratterizzanti della disciplina dei bonus: la cessione del credito e lo sconto in fattura. Ogni detrazione, infatti, prevede che venga comunque sostenuta una spesa nell’immediato e che il rimborso venga spalmato su diversi anni, attraverso un credito di imposta. Esistono alcuni casi, e il Superbonus è uno di questi, in cui è possibile cedere il credito a qualcun altro, tipicamente banche o intermediari finanziari, che offrono una liquidità immediata, comprando il credito. Se invece il credito d’imposta è ceduto all’impresa che svolge i lavori si otterrà uno sconto in fattura, cioè il prezzo sarà (all’apparenza) ridotto, dal momento che l’azienda recupererà la detrazione negli anni successivi, dallo Stato.
Il successo della misura, però, ha creato il problema dei cosiddetti crediti incagliati: una volta finiti i finanziamenti garantiti dallo Stato, le banche non hanno più concesso liquidità ai crediti vantati dalle imprese, che quindi non hanno potuto ottenere capitali immediatamente disponibili. In campagna elettorale, Meloni definiva gli imprenditori bloccati in questo meccanismo "esodati del Superbonus".
Al netto delle promesse elettorali e del problema dei crediti non liquidati, il sistema di cessione dei crediti è stato oggetto di truffe e frodi, ai danni dello Stato (ma con rischi anche per i cittadini), come emerso nell’audizione parlamentare del direttore dell’Agenzia delle Entrate Ernesto Maria Ruffini, nel febbraio 2022.
Sono state riscontrate gravi irregolarità connesse alla creazione, anche da parte di organizzazioni criminali ramificate su tutto il territorio nazionale, di crediti d’imposta inesistenti per importi di vari miliardi di euro che, dopo articolate concatenazioni di cessioni a società e persone fisiche interposte, sono stati in parte monetizzati presso istituti di credito o altri intermediari finanziari. In alcuni casi, i proventi delle frodi sono stati veicolati all’estero.
Questi dati hanno probabilmente spinto a suo tempo il governo Draghi a ridurre la libertà di cessione dei crediti, originariamente illimitata, riducendo il numero di cessioni possibili a tre. Ma il governo Draghi, prima di questo correttivo, aveva già riformato il Superbonus, confermando però i problemi ideologici della misura.
Socializzare i costi, privatizzare i benefici, far risparmiare chi ha già risparmi
La proroga del Superbonus per il 2022, decisa con la manovra del governo Draghi con il benestare dell’allora maggioranza parlamentare (Salvini se ne vantava in un tweet, ad esempio), estendeva ulteriormente l’ambito di applicazione delle detrazioni per i lavori edilizi: se inizialmente, per accedere ai bonus, i proprietari di villette unifamiliari dovevano avere un ISEE inferiore a 25mila euro, sul finire del 2021 fu eliminato proprio quel limite. L’ulteriore estensione del beneficio era perfettamente in linea con i propositi della precedente maggioranza di governo, che comprendeva M5S, PD, LeU e Italia Viva, e che, nelle diverse modifiche del Decreto Rilancio, aveva allargato la platea dei beneficiari, comprendendo anche villette e seconde case. Con misure simili, più o meno estese, più o meno finanziate, si perpetua però il paradosso delle detrazioni, con cui si favorisce proprio chi meno avrebbe bisogno di assistenza.
Il Superbonus, come molte altre misure, si basa su un sistema di detrazione, che quindi presuppone che il cittadino possa investire del denaro, cioè anticipare una spesa (anche piuttosto ingente) per godere del risparmio fiscale negli anni successivi, recuperando in parte (o del tutto, nel caso del Superbonus) l’investimento iniziale. Questo significa che non solo la detrazione (cioè denaro pubblico messo a disposizione dei privati) spetta a chi ha della liquidità disponibile, ma arricchisce a lungo termine chi ne può godere, dal momento che l’efficientamento energetico di un immobile, così come la sua generale riqualificazione, ne aumenta il valore di mercato, un valore che però finisce solo ed esclusivamente nelle tasche di chi ne è proprietario: il costo è rimborsato dalla collettività, il miglioramento è privatizzato.
Una detrazione, insomma, è un meccanismo che non è redistributivo della ricchezza, ma anzi concentra il capitale nelle mani di chi già ne ha, a spese della fiscalità generale e, quindi, di tutti.
La catastrofe climatica è una questione ecologica ma anche socio-economica
Si potrà dire che l’intento della misura era stimolare la transizione ecologica, attraverso l’efficientamento energetico degli immobili, e che la transizione ecologica è un interesse della collettività e non solo dei proprietari degli edifici interessati dai lavori. Certo, e proprio per questo abbiamo precisato, fin da subito, che non tutte le misure in deficit sono un problema, anzi: spesso servono da incentivo e innescano una spirale virtuosa per l’intera società.
In questo caso, non bisogna però tralasciare due questioni.
La prima è che gli interventi più frequenti, e complessivamente più finanziati nel primo anno e mezzo di vigenza delle misure del decreto Rilancio, sono avvenuti non attraverso il Superbonus 110%, ma con il bonus facciate, che concedeva all’epoca una detrazione al 90%: al 31 dicembre 2021, tra comunicazioni di cessioni del credito e sconti in fattura, aveva interessato un importo pari a 13,6 miliardi di euro. Proprio il bonus facciate, secondo i dati dell’Agenzia delle Entrate, è stato anche il più interessato dalle frodi (46%, contro il 3% del Superbonus). In ogni caso, la tinteggiatura e riqualificazione delle facciate, che senz’altro può essere uno stimolo al settore edilizio e può migliorare l’estetica di città e paesi, non ha nessuna valenza ecologica.
La seconda è che le questioni climatiche sono anche questioni economiche e la disuguaglianza sociale è un fattore di crisi: i poveri subiscono e subiranno maggiormente le catastrofi dovute al riscaldamento globale e ai disastri ecologici. Le detrazioni per i proprietari di immobili ne sono una dimostrazione: a spese della collettività, chi ha una casa ha potuto renderla più efficiente da un punto di vista energetico, installare pannelli fotovoltaici, provvedere all’isolamento termico, e ha aumentato così non solo il valore economico dell’edificio, ma anche la vivibilità dei locali, rendendo individualmente tollerabili le estati caldissime che ci aspettano.
La strategia della destra: la propaganda populista che favorisce i più ricchi
Sebbene la questione climatica sia un argomento poco trattato dall'attuale governo, il tema delle spese che favoriscono i più ricchi è invece una delle armi retoriche utilizzate dagli esponenti della destra. Lo si poteva notare già dalle dichiarazioni di Giorgetti, che in conferenza stampa aveva spiegato come il governo non ritenesse "equo destinare una così ingente massa di risorse a una limitatissima fetta dei cittadini, in modo indistinto per reddito e per prima o seconda casa". Nel promettere un intervento selettivo con "un'adeguata fase transitoria" (che al momento non pare esserci), il ministro dell'Economia evidenziava insomma proprio la tendenza a convogliare denaro pubblico nelle tasche dei privati che ne hanno meno bisogno.
Alla luce dell'impeto retorico del governo Meloni contro il bilancio dello Stato usato per arricchire i più ricchi, ci si sarebbe aspettati, al più, un taglio della misura, o la riduzione dei beneficiari ai più poveri, il ripristino di una qualche soglia reddituale. No. O meglio: la detrazione del Superbonus è stato ridotta dal 110% al 90%, e ieri, dopo l'incontro con le associazioni, sembra ipotizzata una qualche misura simile (sebbene del tutto indefinita), ma la modifica introdotta con decretazione d'urgenza, e quindi già vigente, blocca sconto in fattura e cessione dei crediti.
Una misura del genere significa continuare a garantire detrazioni fiscali ma solo a chi abbia una liquidità disponibile, cioè i più ricchi. In altri termini, per parafrasare le parole del ministro Giorgetti, al governo Meloni pare più equo destinare una così ingente massa di risorse a una limitatissima fetta di cittadini, ma non più in modo indistinto: ad accedere alla misura saranno solo quelli che potranno permetterselo. E il discorso sull'equità della misura acuisce ancor di più le disuguaglianze che il Superbonus già non risolveva.