Sovraffollamento, abusi, sedazione con psicofarmaci: l’allarme del Consiglio d’Europa su carceri e CPR

Ad aprile 2024, il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT), organo del Consiglio d'Europa, ha condotto una visita straordinaria in Italia, con lo scopo di esaminare le condizioni nei Centri di permanenza per il rimpatrio (CPR). Questi centri, che non sono altro che delle strutture chiuse destinate al trattenimento temporaneo di cittadini stranieri in attesa di espulsione, sono stati oggetto di crescenti critiche negli ultimi anni.
Il CPT ha visitato quattro dei nove CPR presenti sul territorio nazionale, stilando poi un rapporto dettagliato che evidenzia oggi violazioni sistematiche dei diritti fondamentali e una gestione fortemente problematica. Il documento, presentato anche al Ministro della Giustizia Carlo Nordio, descrive un quadro drammatico: sovraffollamento, suicidi, uso eccessivo della forza, somministrazione di farmaci senza prescrizione, condizioni igieniche estremamente precarie e una quasi totale assenza di attività per le persone trattenute. Di fronte a tali evidenze, il CPT lancia un avvertimento anche sul piano internazionale, mettendo in discussione la validità del modello italiano di detenzione migratoria, soprattutto nella sua applicazione in contesti esterni come i futuri CPR in Albania.
Sovraffollamento, suicidi e uso della forza
Il rapporto restituisce un'immagine drammatica dei CPR: sovraffollamento cronico, casi di suicidio tra i trattenuti, condizioni igienico-sanitarie inaccettabili, servizi insufficienti e ambienti simili a prigioni. Le strutture sono spesso caratterizzate da grate, sbarre e spazi esterni che ricordano gabbie, elementi ritenuti dal CPT disumanizzanti e inadeguati. A peggiorare la situazione, la quasi totale assenza di attività ricreative, formative o di supporto psicologico contribuisce a rendere la permanenza nei centri ancora più alienante. Tra le criticità più gravi rilevate dal CPT ci sono poi gli episodi di maltrattamenti fisici e l'uso sproporzionato della forza da parte della polizia all'interno delle strutture; abusi che sarebbero avvenuti in risposta a tensioni interne, ma senza che vi fosse un sistema indipendente di monitoraggio o documentazione degli eventi. Non solo, nessuna indagine penale sarebbe mai stata avviata nonostante la gravità delle accuse, e le lesioni riportate non sono state mai adeguatamente registrate, in violazione degli standard internazionali, come sottolinea il rapporto.
Psicofarmaci, salute mentale e inattività: un sistema che disumanizza
Nel CPR di Potenza, il CPT ha rilevato una pratica particolarmente allarmante: la somministrazione diffusa e regolare di psicofarmaci senza una prescrizione medica individuale. Una condotta che, secondo il Comitato, evidenzia un approccio orientato solo al controllo dei comportamenti piuttosto che alla cura delle persone. A questa problematica si aggiunge un sistema di certificazione dell'idoneità alla detenzione giudicato inadeguato, spesso affidato a medici privi di una reale conoscenza delle condizioni all'interno delle strutture detentive. Il Comitato raccomanda di rafforzare lo screening medico all'ingresso nei CPR, per individuare tempestivamente condizioni fisiche e psicologiche incompatibili con il trattenimento e prevenire situazioni potenzialmente gravi. Più in generale, il CPT denuncia come la salute mentale nei contesti detentivi continui a essere affrontata con strumenti inadeguati: l'uso della contenzione fisica e della terapia farmacologica resta ancora troppo diffuso, mentre mancano percorsi psicologici e riabilitativi che mettano al centro la persona. In molte strutture europee, il consenso informato alle cure è spesso trascurato, e le pratiche coercitive rimangono una realtà preoccupante. Anche nei contesti psichiatrici, il Comitato invoca un cambio di paradigma che privilegi un trattamento realmente umano e rispettoso della dignità. Un ulteriore elemento di criticità riguarda l'assenza di attività significative per le persone trattenute: sebbene i contratti con i gestori privati prevedano l'organizzazione di iniziative ricreative, educative e di sostegno psicologico, nella realtà queste risultano spesso del tutto assenti o assolutamente insufficienti.
I trattenuti vengono infatti lasciati per lunghi periodi in condizione di inattività forzata, senza alcuno stimolo, senza assistenza, in un clima di estremo abbandono che mina ulteriormente l'equilibrio psichico. Questo scarto tra quanto previsto e quanto effettivamente garantito ha già spinto la magistratura ad avviare alcune indagini, segno di una frattura profonda tra le intenzioni normative e la gestione concreta dei centri.
I dubbi sull'accordo con l'Albania
Il CPT esprime poi anche forti riserve sull'intenzione dell'Italia di replicare questo modello di detenzione all'estero, in particolare in Albania: gli accordi bilaterali tra i due Paesi prevedono infatti la creazione di CPR in territorio albanese, ma il Comitato mette in discussione la possibilità di garantire, in quel contesto, standard minimi di tutela dei diritti umani, considerato il fallimento già evidente sul suolo italiano. Le rassicurazioni fornite dalle autorità italiane, tuttavia, non sono state giudicate sufficienti a dissipare le preoccupazioni sollevate.
La crisi del sistema detentivo: un sistema da ripensare radicalmente
Le criticità osservate si inseriscono in un quadro ben più ampio: secondo il CPT, in tutta Europa si assiste a un deterioramento delle condizioni detentive, con un picco di sovraffollamento in moltissimi Paesi dell'Europa occidentale. Il presidente del Comitato, Alan Mitchell, sottolinea come il sovraffollamento non sia solo un problema logistico, ma un moltiplicatore di rischi: accentua le tensioni, ostacola i servizi, alimenta la violenza e mina ogni possibilità di reinserimento.
Il rapporto del CPT non lascia dunque spazio a interpretazioni e, in questo, l'Europa, avverte il Comitato, non può certo più permettersi di ignorare un problema diventato oramai sistemico.