"Questa riforma non è perfetta, ma è una buona riforma, specialmente per coloro che entrano nel mercato del lavoro", si apre con queste parole l'intervista del ministro Elsa Fornero al Wall Street Journal, rilasciata proprio mentre alla Camera è in corso il voto di fiducia sulla riforma del lavoro. Provvedimenti dalla genesi tormentata e destinati ad incidere nell'immediato, che otterrano in ogni caso la fiducia del Parlamento. Eppure, il ministro, forse non pago del caos sugli esodati e degli improvvidi "auspici" su licenziamenti nella pubblica amministrazione, ha inteso regalare altre perle della sua personalissima concezione dei diritti dei cittadini. "Noi stiamo cercando di proteggere gli individui, non i loro lavori. L'atteggiamento delle persone deve cambiare: il lavoro non è un diritto; deve essere guadagnato, anche attraverso il sacrificio”.
Parole che ovviamente faranno passare in secondo piano le successive valutazioni nel merito della riforma, con passaggi interessanti su articolo 18, privilegi veri o presunti e con la possibilità di "small adjustments, but no major changes." Del resto il ministro Fornero ha sprecato l'ennesima occasione, giustificando in pieno la scarsa fiducia che gli italiani nutrono nei suoi confronti. Passi (?) aver portato a termine una riforma dopo cambiamenti, scivoloni e gaffe; passi (?) l'essere riuscita a scontentare Confindustria, partiti e sindacati; passi il frequente ricorso alla "nobile arte della smentita" (vedi questione esodati); ma ciò che invece è inammissibile è che un ministro della Repubblica non conosca la Costituzione della Repubblica Italiana. L'articolo 4 in particolare, quello che recita:
"La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto"
Parole che restano e resteranno, con buona pace della Fornero, che invece per nostra fortuna dimenticheremo in fretta.