Quando si parla di omofobia, così come di altre discriminazioni, c’è una credenza ben accettata. Si pensa che l’omofobia si manifesti solo nella violenza fisica o tuttalpiù verbale. La maggiore opposizione al ddl Zan, il disegno di legge sull’omolesbobitransfobia naufragato al Senato nell’autunno del 2021 tra gli applausi della destra, era che l’Italia non aveva bisogno di una legge per punire le discriminazioni e le violenze basate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere: c’erano già le aggravanti in sede penale e in più il ddl Zan avrebbe criminalizzato la “libertà di pensiero”.
Oggi, a due anni di distanza e con il governo più a destra della storia recente italiana, possiamo dire che le rassicurazioni di chi riteneva il ddl Zan una legge superflua sono ancora una volta disattese e che la situazione sul versante dei diritti LGBTQ+ sta precipitando. L’omolesbobitransfobia, oltre che nelle botte e nella ghettizzazione, si esprime anche nella mancanza di leggi e di diritti, nei discorsi violenti dei rappresentanti delle istituzioni e nel clima di insofferenza rispetto tutto ciò che riguarda la vita delle persone queer. Lo conferma anche il Rainbow Index, l’indice che misura la tutela dei diritti in Europa compilato ogni anno dall’Ilga, la più grande rete europea delle associazioni LGBTQ+. L’Italia tutela solo il 25% dei diritti arcobaleno, posizionandosi 34esima fra i 49 Paesi presi in considerazione dal ranking e perdendo una posizione rispetto allo scorso anno.
Nel report sul nostro Paese, si evidenzia come “l’incitamento all'odio è rimasto diffuso quest’anno, anche da parte dei politici e in particolare dopo le elezioni di settembre”. Vengono anche citate le affermazioni dei deputati di Fratelli d’Italia Federico Mollicone e Lucio Malan, che hanno detto rispettivamente che le coppie di genitori omosessuali non sono normali e che l’omosessualità è un “abominio”. Il documento sottolinea inoltre la contrarietà del governo alla strategia nazionale LGBT+ 2022-2025 adottata dal governo uscente Draghi, che persegue gli obiettivi dell’omonima strategia adottata dall’Unione Europea nel 2020. La strategia è di competenza dell’Unar, l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, che fa parte del dipartimento delle Pari opportunità ma i cui fondi (di provenienza europea) sono attualmente bloccati. La senatrice del Movimento 5 Stelle Alessandra Maiorino ha presentato alla ministra Roccella un’interrogazione parlamentare sul destino di questi finanziamenti, da cui dipendono progetti importanti come i centri antiviolenza per persone che subiscono discriminazioni sulla base dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere.
Maiorino, insieme ad altri senatori, ha presentato anche una mozione che “impegna il Governo a sostenere nelle competenti sedi istituzionali europee ed internazionali un'ampia coalizione di Stati per promuovere la depenalizzazione universale delle condotte relative a rapporti consensuali tra persone adulte dello stesso sesso e a garanzia del rispetto dei diritti umani universali”. La risposta a questa mozione, che è un atto di indirizzo politico ma che non rappresenta nessun obbligo per il governo, potrebbe comunque avere un valore simbolico importante.
Il posizionamento di questo governo sulle questioni LGBTQ+ è infatti intransigente e anacronistico rispetto alle altre destre europee. D’altronde, non è un mistero che Meloni guardi più all’ultradestra di Orbán che alle destre liberali e questo riguarda anche i diritti arcobaleno: il “no” deve essere totale, non basta opporsi soltanto alle iniziative più progressiste o controverse. E così l’Italia resta arenata a quel 25%, una percentuale di tutela addirittura inferiore a quella ungherese. Dei 25 requisiti presi in considerazione per la sezione “uguaglianza e non discriminazione”, il nostro Paese ne rispetta solo due, il divieto di discriminazione sul lavoro (introdotto nel 2003 in attuazione di una direttiva europea del 2000) e la possibilità di donare il sangue per le persone omosessuali. Ma a spiccare è l’assenza di qualsiasi legge sui crimini e i discorsi d’odio, di cui persino l’Ungheria si è dotata nel 2013.
Intanto la situazione peggiora, specialmente per le famiglie omogenitoriali, dopo che il ministero dell’Interno ha ordinato di interrompere la trascrizione dei figli nati all’estero da procreazione medicalmente assistita o da gestazione per altri. E anche sul piano simbolico, l’astensione di Lega e Fratelli d’Italia dal voto sull’adozione del Parlamento europeo della Convenzione di Istanbul è un segnale inquietante. La Convenzione, che è uno strumento vincolante per il contrasto alla violenza di genere, è osteggiata da Polonia, Turchia e Ungheria per i suoi presunti riferimenti all’“ideologia gender”. L’astensione della destra ha provocato il malcontento di ProVita e Famiglia, dal momento che gli eurodeputati avevano firmato un manifesto dell’associazione che li impegnava a votare contro. Anche i riferimenti degli esponenti del governo, Meloni compresa, alla teoria del complotto dell’ideologia gender sono citati dal Rainbow Index tra gli aspetti problematici dell’Italia.
Insomma, il quadro del nostro Paese è preoccupante, mentre la destra continua a far finta di niente. “Le leggi che ci sono bastano già”, era il coro all’epoca del ddl Zan. Il processo per il caso che all’epoca ebbe più rilevanza, l’aggressione subita da Jean Pierre Moreno nella stazione della metro Valle Aurelia di Roma mentre si baciava con un uomo, non ha preso in considerazione il movente omofobico e così l’eventuale condanna riguarderà solo le lesioni personali. Le leggi, infatti, non ci sono e l’imbarazzante posizionamento dell’Italia nel Rainbow Index non farà altro che peggiorare se nessuno si prenderà la briga di cambiare le cose e riconoscerà che l’omolesbobitransfobia non consiste solo in pestaggi e insulti, ma anche nell’assenza di diritti.