Sondaggi, la sugar tax divide gli italiani: il 50% pensa che non servirà a ridurre l’obesità
L'Osservatorio settimanale socio-politico Omnibus di Euromedia Research ha condotto un'indagine sulla sugar tax, intervistando un campione di mille persone, tra il 12 e il 14 novembre. Il risultato è che la tassa sulle bevande zuccherate, misura molto controversa, contenuta nella manovra, divide gli italiani.
Nel dettaglio, il 62,6% degli intervistati non considera la sugar tax utile a ridurre i consumi di bevande zuccherate, mentre il 60,9% del campione ritiene che si tratti di un modo per generare maggiori entrate per lo Stato. Sul livello di conoscenza della sugar tax, il 60,1% non sa che riguarda anche le bevande Zero; solo il 38,5% degli intervistati la identifica come accisa; mentre, per il 65,1%, impatterà prevalentemente sui consumatori. Il 50,6% del campione pensa che non siano le tasse lo strumento corretto contro l'obesità e le cattive abitudini alimentari, mentre il 12,8% riconosce nelle bevande dolci e zuccherate il reale problema. Il 26,2% ritiene invece che sarebbe necessario tassare anche merendine e altri prodotti dannosi per la salute.
Secondo un altro sondaggio, commissionato da Facile.it alle società mUp Research e Norstat, più della metà degli italiani è favorevole alla plastic tax. Secondo la ricerca (condotta su di un campione di 1.015 persone su tutto il territorio nazionale), il 54,7% degli italiani è favorevole alla plastic tax, il 33,9 è contrario, mentre l'11,4% non sa cosa rispondere. I due istituti hanno esteso l'indagine anche alla la sugar tax: in questo caso il 47,7% si è detto favorevole, mentre il 40,9% si è dichiarato contrario.
Ma quali potrebbero essere le conseguenze sul carrello della spesa se le due nuove tasse dovessero determinare un aumento del costo dei prodotti finali? Complessivamente sono 31 milioni i consumatori che hanno dichiarato di essere pronti a modificare le proprie abitudini di acquisto – riducendo o eliminando del tutto i prodotti colpiti dagli eventuali rincari – divisi tra coloro che lo farebbero perché consapevoli che si tratti di prodotti potenzialmente dannosi per l'ambiente o per la salute, e coloro che invece sarebbero spinti solo dal risparmio.