Forse era meglio quando era una scatola chiusa, il mirabolante piano che Giorgia Meloni aveva in serbo per l’Africa. Perché finché erano solo chiacchiere e slogan poteva essere qualunque cosa, persino una cosa seria. E invece, ora che quella scatola è stata aperta, in occasione del summit Italia-Africa che si è svolto ieri al Senato a Roma abbiamo scoperto che dietro le chiacchiere e gli slogan c’è un progetto ipocrita, neocoloniale e velleitario. Un progetto che non aiuterà l’Africa nel suo sviluppo, che non fermerà i flussi migratori e che, a dispetto delle speranze dei suoi ideatori, non farà crescere nemmeno un po’ l’influenza italiana ed europea nel continente africano.
Cominciamo dall’ipocrisia. E in particolare dai 5,5 miliardi di progetti per la cooperazione allo sviluppo che l’Italia avrebbe stanziato per diversi Paesi africani come il Marocco, Algeria, Egitto e Tunisia. Tutto bello, se non fosse che quei progetti siano vecchi arnesi riesumati alla bisogna, finanziati con soldi altrettanto vecchi, già stanziati anzitempo per l’emergenza climatica e per la cooperazione coi Paesi in via di sviluppo. Che tutto questo sia spacciato come qualcosa di nuovo, come se avessimo davvero in testa nuovi progetti per i Paesi africani, finanziandoli con risorse aggiuntive è una mossa da trecartari che non fa onore a un continente che si fa forte della sua superiorità culturale.
Non solo: in quei progetti non c’è nessun tipo di cooperazione. Si tratta di idee calate dall’alto in basso, come ha avuto modo di rimarcare il presidente dell’Unione Africana Moussa Faki Mahamat, gentili concessione dell’Europa civilizzata all’Africa selvaggia, come se i Paesi africani non avessero diritto ad avere alcuna voce in capitolo sulla strada da scegliere per la loro crescita. Soprattutto: come se tutto questo non preveda, in cambio, lauti contratti per le imprese italiane, bisognose di commesse, di materie prime e di energia a basso costo da comprare, ora che i rubinetti del gas russo sono chiusi a tripla mandata. In fondo, quest’ultimo, è l’unico motivo per cui oggi Meloni, Metsola e Von der Leyen parlano di “destini incrociati” tra i due continenti, dopo vent’anni in cui l’Africa, un continente in cui abitano un miliardo e mezzo di persone, è stata semplicemente rubricata dalla ricca e vecchia Europa, come un problema d’ordine pubblico.
All’ipocrisia e al neocolonialismo si aggiunge uno strato di surreale velleitarismo. Pensare anche solo che cinque miliardi e mezzo di progetti possano fare la differenza quando negli ultimi vent’anni, la sola Cina – mentre noi parlavamo di Fortezza Europea e di migranti da rispedire “a casa loro” – ha investito più di 150 miliardi di dollari nel continente africano, dà la dimensione della nostra impotenza nel voler determinare il destino dell’Africa e di volerne inglobare il destino nella nostra sfera di influenza geopolitca e geoeconomica. E fa sorridere, se non facesse piangere, la convinzione di Meloni & co di potercela fare davvero, a diventare interlocutori privilegiati di un continente che dell’Europa e dell’Occidente conosce solo il colonialismo razzista, la pretesa di dominarne i destini, l’indifferenza alla povertà e il brutto vizio di scatenare conflitti e armarne le fazioni per arraffare risorse.
Intendiamoci: è un giochino che non inizia certo con Giorgia Meloni e il piano Mattei. Né tantomeno è un giochino in cui l’Italia ha qualcosa da insegnare ai suoi partner europei, Francia in primis. Se l’Africa vede l’Europa come la causa di buona parte dei suoi mali, le ragioni storiche di questa convinzione affondano le radici in secoli di Storia. Ma proprio perché la Storia non si può cambiare, aggiungiamo un piccolo dettaglio pro futuro: tutti i modelli di previsioni dell’Ipcc, il panel intergovernativo sul cambiamento climatico, ci dicono che se supereremo i due gradi di aumento medio delle temperature, buona parte del continente africano, in particolare la fascia sub sahariana, avrà un clima incompatibile con la vita umana. Ecco: sarebbe interessante sapere cosa ne pensano i negazionisti climatici di casa nostra, molti dei quali siedono tra le fila della maggioranza che si spella le mani per il piano Mattei. Pronti a fare la nostra parte? Pronti a garantire asilo ai migranti climatici? O i destini di Africa ed Europa sono intrecciati solo quando fa comodo a noi?