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Sindache e prefette, la parità di genere della Boldrini diventa una caricatura

“A sindache, consigliere, prefette, magistrate e ministre dico: rivendicate il vostro ruolo al femminile”. A dirlo è Laura Boldrini che, durante il convegno “Stati generali al femminile, come cambia il potere grazie alle donne”, è tornata a parlare, suscitando l’ilarità generale, di un argomento a lei molto caro: l’utilizzo di declinazioni al femminile per i sostantivi che descrivono cariche politiche o manageriali affidate alle donne.
A cura di Charlotte Matteini
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Camera - cerimonia del ventaglio
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Durante il convegno "Stati generali al femminile, come cambia il potere grazie alle donne", svoltosi oggi alla Camera dei Deputati, Laura Boldrini è tornata a parlare di un argomento a lei molto caro: l'utilizzo di declinazioni al femminile per i sostantivi che descrivono cariche politiche o manageriali affidate alle donne. E' una questione di principio, per la Presidente della Camera. Anche questo è parità di genere, sostiene Laura Boldrini, augurandosi che "sindache, consigliere, prefette, magistrate e ministre dico: rivendicate il vostro ruolo al femminile". Ha twittato anche "prefette", giuro che non è un'invenzione mia. Non è satira, è pura realtà.

Insomma, secondo Laura Boldrini e alcune femministe vecchio stampo, la declinazione al femminile di tutti quei sostantivi che generalmente indicano ruoli di potere affidati a uomini aiuterebbe a eliminare le discriminazioni nel mondo del lavoro e della politica. E così, il direttore donna di un giornale dovrebbe essere chiamato "direttrice", magistrato diventare "magistrata", sindaco muta in "sindaca" e così via. Con buona pace della grammatica italiana, le donne dovrebbero quindi rivendicare le proprie qualità e capacità facendosi qualificare con appellativi che tutto ispirano meno che serietà e autorevolezza.

Intendiamoci, se fossi un prefetto e qualcuno osasse chiamare "prefetta" non la prenderei affatto bene, anzi penserei mi stia prendendo in giro. Le declinazioni forzate sono oggettivamente brutte, brutte soprattutto a livello estetico. E' brutta la grafia di molte di queste definizioni, inascoltabile il suono delle parole artatamente femminilizzate. E poi no, proprio non è questo ciò che serve alle donne italiane per uscire dal pantano del sessismo e della discriminazione.

Sessismo e discriminazione sono problemi che esistono e sono tangibili, ma non è attraverso l'introduzione dell'obbligo di parità linguistica che si risolvono, non è attraverso il lamento continuo, costante e incessante tanto caro a Laura Boldrini che si aiutano le donne che soffrono di problemi di discriminazione sul lavoro, non è così che si dà loro la forza per uscire da determinate situazioni, non è certo il vittimismo la giusta risposta da contrapporre a un atteggiamento despota.

Ma soprattutto, il porre un tema del genere in maniera del tutto inadatta e fuoriluogo, postando dei tweet cantilenanti che sembrano usciti da un manuale intitolato "Come non fare comunicazione politica" presta non solo il fianco a critiche e sfottò, ma svaluta la battaglia di tante donne coraggiose che cercano di imporsi nel mondo del lavoro, in politica e nella vita privata facendo leva sulle proprie qualità, meriti e doti personali, senza vittimismi di sorta.

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Milanese, classe 1987, da sempre appassionata di politica. Il mio morboso interesse per la materia affonda le sue radici nel lontano 1993, in piena Tangentopoli, grazie a (o per colpa di) mio padre, che al posto di farmi vedere i cartoni animati, mi iniziò al magico mondo delle meraviglie costringendomi a seguire estenuanti maratone politiche. Dopo un'adolescenza turbolenta da pasionaria di sinistra, a 19 anni circa ho cominciato a mettere in discussione le mie idee e con il tempo sono diventata una liberale, liberista e libertaria convinta.
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