Durante il convegno "Stati generali al femminile, come cambia il potere grazie alle donne", svoltosi oggi alla Camera dei Deputati, Laura Boldrini è tornata a parlare di un argomento a lei molto caro: l'utilizzo di declinazioni al femminile per i sostantivi che descrivono cariche politiche o manageriali affidate alle donne. E' una questione di principio, per la Presidente della Camera. Anche questo è parità di genere, sostiene Laura Boldrini, augurandosi che "sindache, consigliere, prefette, magistrate e ministre dico: rivendicate il vostro ruolo al femminile". Ha twittato anche "prefette", giuro che non è un'invenzione mia. Non è satira, è pura realtà.
Insomma, secondo Laura Boldrini e alcune femministe vecchio stampo, la declinazione al femminile di tutti quei sostantivi che generalmente indicano ruoli di potere affidati a uomini aiuterebbe a eliminare le discriminazioni nel mondo del lavoro e della politica. E così, il direttore donna di un giornale dovrebbe essere chiamato "direttrice", magistrato diventare "magistrata", sindaco muta in "sindaca" e così via. Con buona pace della grammatica italiana, le donne dovrebbero quindi rivendicare le proprie qualità e capacità facendosi qualificare con appellativi che tutto ispirano meno che serietà e autorevolezza.
Intendiamoci, se fossi un prefetto e qualcuno osasse chiamare "prefetta" non la prenderei affatto bene, anzi penserei mi stia prendendo in giro. Le declinazioni forzate sono oggettivamente brutte, brutte soprattutto a livello estetico. E' brutta la grafia di molte di queste definizioni, inascoltabile il suono delle parole artatamente femminilizzate. E poi no, proprio non è questo ciò che serve alle donne italiane per uscire dal pantano del sessismo e della discriminazione.
Sessismo e discriminazione sono problemi che esistono e sono tangibili, ma non è attraverso l'introduzione dell'obbligo di parità linguistica che si risolvono, non è attraverso il lamento continuo, costante e incessante tanto caro a Laura Boldrini che si aiutano le donne che soffrono di problemi di discriminazione sul lavoro, non è così che si dà loro la forza per uscire da determinate situazioni, non è certo il vittimismo la giusta risposta da contrapporre a un atteggiamento despota.
Ma soprattutto, il porre un tema del genere in maniera del tutto inadatta e fuoriluogo, postando dei tweet cantilenanti che sembrano usciti da un manuale intitolato "Come non fare comunicazione politica" presta non solo il fianco a critiche e sfottò, ma svaluta la battaglia di tante donne coraggiose che cercano di imporsi nel mondo del lavoro, in politica e nella vita privata facendo leva sulle proprie qualità, meriti e doti personali, senza vittimismi di sorta.