"Come per senso di responsabilità e amore del mio Paese sono sceso in campo nel '94, come nel novembre dello scorso anno ho lasciato il Governo […] ora non ho dubitato un minuto nel farmi indietro perché voglio solo il bene del Paese che amo. Non ho mai avuto un'ambizione politica personale". Ecco, tralasciando l'ultima discutibile considerazione, possiamo dire che stavolta Silvio Berlusconi ha proprio ragione: il Paese non può permettersi ulteriori salti nel buio o romantiche (e disperate) avventure, ma ha bisogno di una guida politica seria, responsabile, pienamente legittimata dal voto popolare e che sia in grado di dare risposte concrete ai tanti problemi che affliggono i cittadini italiani. Oppure di un'altra illusione, del riposizionamento degli stessi elementi e delle solite stanche litanie. Il Cavaliere ha governato per dodici lunghi anni, con 4 esecutivi differenti: ciò che resta è sotto gli occhi di tutti. Certo, l'uomo ha sempre mostrato una grande ritrosia ad ammettere errori e fallimenti della sua reggenza politica del Paese, dunque la decisione di passare la mano sembra avere radici diverse e forse più complesse (e tralasciando le questioni "Ruby" ed "età"…).
In primo luogo il Cavaliere si è trovato di fronte a sondaggi "tremendi", con i consensi del Popolo della Libertà inchiodati al 20%, malgrado l'annuncio di una nuova discesa in campo. Una prospettiva, quella di un flop alle urne, che lo ha indotto dapprima ad annunciare un reset del partito (operazione comunque lunga e complessa), poi a guardarsi intorno per individuare altri "nomi" su cui caricare il peso di una campagna elettorale in salita (magari con una lista aperta alla società civile). Una ricerca ancora in corso ma resa più semplice dall'annuncio del "passo indietro" che potrebbe convincere i vari Montezemolo, Casini e Passera a dar vita a quell'alleanza dei moderati che potrebbe "impedire alla sinistra di conquistare il Governo". Ovviamente si tratta di una semplificazione forse eccessiva, ma è innegabile che dietro la rinuncia a guidare ciò che resta del centrodestra (attenzione, non si tratta di un ritiro dalla vita politica…), vi è una mano tesa all'ex compagno di avventura Pierferdinando Casini e la constatazione che l'opera di ricostruzione dell'area dei moderati non può prescindere dall'accantonamento del "sogno di un ritorno in grande stile". Non si spiegherebbe altrimenti la chiamata in causa di Mario Monti, che ora Silvio giudica la "prima scelta" per la guida del Paese, ma soprattutto la conferma della volontà di "ripulire" il partito: mosse quasi obbligate per conservare un minimo di peso politico. Una svolta che potrebbe condizionare le trattative sulla riforma elettorale, anche se ogni considerazione di questo tipo appare prematura.
Ma la resa di Berlusconi rappresenta comunque un segnale importante, un punto di svolta per il Paese. Ci sarà tempo per le alchimie, per i rebus e per le analisi complessive, ora non resta che fare i conti con quella che è, comunque la si guardi, la fine di un'era. E che riflette il clima complessivo del nostro Paese. Ne scrivevamo qualche giorno fa: "Il quadro sembra mutato. Perché più che rassegnati ed in cerca di sogni, gli italiani sono incazzati ed in cerca di un nuovo nemico. Più che pronti a credere al primo profeta che promette cambiamenti epocali, gli italiani sono pronti ad ammirare chi svela (a ragione o a torto) il marcio delle istituzioni, la corruzione della politica. […] Del resto, l'illusione del berlusconismo è durata per quasi vent'anni. Ora gli italiani sono pronti per un'altra illusione".