Siamo un Paese ossessionato dall'immigrazione, che quando vede una faccia nera alza le barricate. Siamo un Paese ossessionato dall'immigrazione, e che per questo perde ogni giorno la possibilità di stare bene. È come se usassimo un piede per schiacciarsi l'altro piede, e poi ci lamentassimo di quanto è difficile camminare, che andiamo poco lontano e che ci fanno male i piedi quando proviamo a fare qualche passo.
Siamo un Paese ossessionato dall'immigrazione da almeno vent'anni, dove un medico nero a Fagnano Olona, nel Varesotto, è stato costretto ad andarsene perché alcuni cittadini lo hanno insultato per il colore della pelle, e ora l'intero paese è rimasto senza medico. Attacchi da Alabama negli anni '50, violenti, retrivi, dove stare qui a sottolineare i regolari studi italiani del medico sembra addirittura superfluo, e a suo modo somiglia all'accettare lo stesso terreno di chi lo offende.
Comunque sì, il dottor Enock Rodrigue Emvolo era regolarmente laureato, era (ed è) un bravo dottore, infatti nessuno aveva protestato per le sue cure ma proprio per il colore della pelle. Lo chiamavano con disprezzo "il senegalese", oppure avevano vergato con l'odio commenti come "dai, torna a far pascolare le pecore".
È difficile fare informazione in un Paese ossessionato dall'immigrazione, ma ancora di più curarlo.
Siamo un Paese in cui quasi tutte le battaglie politiche provenienti da destra vedono gli immigrati in qualche modo responsabili, da almeno vent'anni. Sono ossessionati "dall'uomo nero", non soltanto nei detti popolari e nelle favole, ma nei programmi politici e nella vita quotidiana.
Matteo Salvini ci campa da una vita rilanciando fatti di cronaca, non sempre tutti veri. E Giorgia Meloni ha imparato prestissimo.
Tutto il pensiero della destra italiana gira intorno all'immigrazione, è proprio un'ossessione politica. Pensate alle loro parole chiave: chiudere le frontiere, fermare i barconi, "sparare agli scafisti in mare" (cit. Pierferdinando Casini prima che diventasse una costola del PD). Oppure oggi il reddito di cittadinanza: "Lo prendono addirittura gli immigrati, sono soldi sprecati, aboliamolo!"
E ovviamente gli immigrati diventano il primo obiettivo quando parlano di sicurezza nelle strade e nei quartieri, oppure sui mezzi di trasporto. Ma agli immigrati si dà la colpa anche del basso numero di alloggi popolari disponibili: "Fanno tanti figli e gli appartamenti vanno sempre a loro! Non è giusto! Prima gli italiani!"
Ma anche le questioni della sanità pubblica, che dove non funziona – o funziona pochissimo – "la colpa è degli immigrati che rubano il posto ai malati italiani e riempiono i Pronto soccorso".
E la questione lavoro? Stessa cosa, ovviamente. Con l'aggravante che addirittura in questo caso "gli immigrati sono i responsabili stessi dei bassi salari perché accettano qualunque condizione lavorativa", infatti tanti di loro non hanno niente da perdere, è questo il ragionamento "e così permettono alle aziende di disporre di manodopera a basso costo, e per concludere è colpa loro se vengono sfruttati e se anche molti italiani finiscono per essere sfruttati".
Sembra incredibile ma il ragionamento è proprio questo, cioè lo sfruttamento non sarebbe colpa delle aziende che sfruttano, o delle leggi, del legislatore e dei Governi, o della crisi economica, ma sarebbe colpa di quelli che vengono percepiti come scaricabili ed estranei: gli immigrati, cioè i primi sfruttati. È un'ossessione, ve l'avevo detto.
Addirittura ci sono anche quelli per cui pure "i cambiamenti climatici sono colpa dei neri che portano la calura", ricordo un'intervista agghiacciante che realizzai agli affezionati di Mussolini, in marcia a Predappio per onorare il compleanno del Duce.
Siamo un Paese ossessionato dall'immigrazione, che diventa l'argomento principale nei bar, in fabbrica, in famiglia, al supermercato.
L'ossessione è una brutta storia, non ti lascia mai in pace e tiene sempre il dito indice puntato dalla parte sbagliata. È come se fosse un dito storto, distorto rispetto al reale, guidato da un pensiero errato, perché ti mostra un pezzettino come se fosse la totalità, e dunque falsifica l'immagine.
Il numero di immigrati accolti in Italia è minore rispetto ad esempio a quelli accolti in Germania, o in Francia. Ma in Italia è sempre un incolpare i cugini francesi o quelli tedeschi, perché non prendono gli immigrati e "ce li lasciano tutti a noi".
Avete mai provato a farvi una foto da vicino? Intendo a un orecchio, per esempio. Siete voi, è il vostro orecchio, ma voi non siete soltanto quell'orecchio, che pure è parte di voi. Come l'immigrazione: non è un accidente o qualcosa di estraneo al Paese, siamo sempre noi, le seconde e terze generazioni sono tra l'altro indistinguibili dagli autoctoni, ma c'è anche molto altro intorno al vostro orecchio. Cioè non c'è soltanto l'immigrazione nel nostro Paese, come noi non siamo soltanto un orecchio. L'esempio è basico, però partire dalle basi – quando mancano – è forse l'unico modo per provare a comprendersi, o il solo che mi venga in mente.
Siamo un Paese ossessionato dall'immigrazione perché impaurito. Ma la paura è come il sale, è positiva soltanto in piccole quantità. Ad esempio quando impedisce a un bambino di saltare dalla finestra, o di gettarsi in mezzo al fuoco. Troppa paura, al contrario, impedisce di vivere, potremmo chiamarla l’autosegregazione del recinto. C’è anche un proverbio: “Chi teme ogni nuvola, non fa mai un viaggio”.
Il sale, come la paura, deve essere dosato. Ne basta uno "zinzinino in più" – come dicevano le vecchie – per rendere immangiabile il piatto più prelibato.
Il partigiano Pillo un giorno mi disse: “La paura ti sta addosso come il coraggio, sarebbe da imbecilli non avere mai paura”. Ma averne troppa gli avrebbe impedito di prendere l’acqua alla fonte, ad esempio in piazza Puccini di fronte all’ex Manifattura Tabacchi, con i cecchini fascisti appostati per sparare a chi si avvicinava alla fontana.
In altre parole: la paura è necessaria per quel poco che ti permette di affrontare i pericoli senza rimetterci la vita, o almeno riducendo al minimo le possibilità di rimanerci secco (che dalle parti del contado toscano significa appunto “morto”. I secchi infatti erano i patiti e i prossimi alla dipartita).
L'ossessione per l'immigrazione è un disturbo dell'attenzione politica, che però garantisce consenso. Per guarire non occorrono medicine, terapie o santoni. È necessario semplicemente cambiare prospettiva. Ma per chi ha un affaticamento dell'empatia, per chi è devastato dalla paura a cui l'ignoranza non fa mai mancare il carbone al motore, diventa spesso impossibile.
La parola è lo strumento che abbiamo a disposizione. Funziona? Pochissimo, ma sempre meglio del silenzio, dell'assenso incondizionato e del volgere lo sguardo da un'altra parte. Dobbiamo imparare a disinnescare, perché se non lo faremo le persone continueranno ad affogare in mare, e dall'altra parte del Mediterraneo il nostro Paese sprofonderà, collassato da un'ossessione che si chiama creazione del nemico.