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Opinioni

Siamo tutti renziani (e no, non è una buona notizia)

Il 2014 è stato l’anno di Matteo Renzi: l’uomo che ha dimostrato che il sistema è scalabile ma soprattutto l’uomo che (ci) ha imposto la sua narrazione. Dalla quale non sappiamo come liberarci. Sempre ammesso che volessimo farlo.
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C’è qualcosa che non ci convince (e ci preoccupa non poco) nella narrazione condivisa del fenomeno Renzi. Quella, per intenderci, che vuole il Presidente del Consiglio come “spirito del tempo”, interprete privilegiato della generazione Bim Bum Bam, testimonianza lampante della scalabilità del sistema e alfiere della rottamazione come corollario del post ideologismo. Quella, per capirci che narra di politici, media, cittadini costretti a cambiare comunicazione, strumenti, messaggi e temi per provare a reggere il confronto con il nuovo corso. Quella di chi considera compiuto il processo di “appropriazione” del linguaggio e di costruzione di un nuovo lessico, al punto tale da piegare le resistenze in una sorta di nuovo dualismo: pro o contro Renzi, insomma.

Il problema di analisi di questo tipo è che provengono per la stragrande maggioranza da chi è immerso fino al collo nel “frame renziano”: sono analisi dall’interno, viziate dal controsenso logico di essere parte attiva del processo che si pretende di descrivere (quando non vere e proprie marchette interessate). È l’aura del messia fiorentino che inquina letture di questo tipo, che finiscono semplicemente per consolidare un pre – giudizio e  per auto – alimentare il circuito nel quale siamo già inseriti. Nel gergo della psicologia sociale parleremmo dell’effetto aspettativa che origina la profezia che si autoavvera: siamo noi a ricercare continuamente (e dunque a trovare) i segni del “frame renziano”, siamo noi a leggere i risultati delle nostre “osservazioni” con coordinate renziane, siamo noi a cercare (e dunque trovare) nessi causali fra questioni magari diversissime, siamo noi a sperare in alterità e contrasti (e dunque a crearne, ma sempre funzionalmente al totem Renzi). Ma l'aver accettato questa ricostruzione non significa necessariamente che le cose stiano in questo modo. Significa solo che stiamo leggendo fatti, cambiamenti, idee, proposte e processi con le coordinate del frame renziano. Insomma, è la nostra passiva accettazione del frame renziano che lo legittima, lo rende determinante, lo fa apparire come "la sola ed unica" chiave di lettura possibile.

Siamo insomma noi, più o meno consapevolmente, ad aver legittimato il dualismo, ad aver accettato questa nuova ed asfissiante griglia interpretativa, ad aver avallato un linguaggio fatto di banalizzazioni e contrapposizioni, di gufi, paludi, rosiconi e rottamatori. E lo facciamo continuamente, non solo inserendo ogni voce fuori dal coro in questa dinamica, ma anche applicando lo stesso metro di valutazione a questioni completamente diverse. Insomma, abbiamo "renzizzato" persino Salvini, legittimandolo come avversario potenziale, persino la Camusso, che peraltro non ha fatto molto per sottrarsi al giochetto.

In questo quadro è evidente la difficoltà, quasi l'inadeguatezza, di chi prova a scendere nel merito delle questioni, ad andare oltre la superficialità dell’adesione o della contestazione del modello (che è un altro aspetto della sua legittimazione, per dire), ad immaginare ragionamenti che in qualche modo prescindano dalla scelta di campo, dal tifo da stadio, dalla logica delle fazioni.   

E del resto, c’è stato mai un momento in cui si è riusciti ad “isolare” dubbi, idee e giudizi da un contesto che in qualche modo ci era già dato? Forse sì, forse no (e del resto, che dio ci scampi ad esempio dal diluvio di parole sul berlusconismo, sul nuovo berlusconismo, sul berlusconismo di sinistra, sul Renzi di destra). Quello che è certo, invece, è che il vuoto e la vertigini che avvertiamo dipende dal contesto, dalla pervasività del messaggio renziano e dalla debolezza dell'alternativa. Siamo tutti renziani, in un certo senso. E ne abbiamo una paura fottuta (il motivo lo spiega il direttore Francesco Piccinini qui), anche perché, come nota Jacopo Tondelli su GliStatiGenerali, a farci tremare è il Renzi che è in noi:

Solo che noi, proprio la nostra generazione, in questo governo vede se stessa allo specchio, e l’immagine di noi che viene restituita è impietosa. Una generazione facilona, che chiacchiera molto, annuncia di più e ottiene pochino. Una genìa impaziente, che ammanta di urgenze collettive il bisogno privato di autoaffermazione. Una risma di trenta-quarantenni che ha molte ragioni quando parla dei fallimenti dei padri e dei nonni, ma dovrebbe almeno riconoscere che per seppellire quelle storie bisognerebbe aver saputo, capito, faticato e studiato molto di più.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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