Opinioni
Caso Paragon

Siamo stati spiati perché siamo giornalisti: perché il governo italiano ha mentito su Paragon?

Il governo ha detto che non ha fatto spiare nessun giornalista o attivista: ma allora perché Paragon Solutions ha stracciato il contratto con l’Italia per violazione delle norme di utilizzo subito dopo che è scoppiato lo scandalo?
400 CONDIVISIONI
Immagine
Attiva le notifiche per ricevere gli aggiornamenti su

“A dicembre, WhatsApp ha interrotto le attività di una società di spyware che riteniamo abbia attaccato il tuo dispositivo. Le nostre indagini, indicano che potresti aver ricevuto un file dannoso tramite Whatsapp e che lo spyware potrebbe aver comportato l’accesso ai tuoi dati, inclusi i messaggi salvati sul tuo dispositivo”.

Questo è il messaggio che ho ricevuto venerdì 31 gennaio, alle ore 14,38. A inviarmelo, una chat chiamata WhatsApp Support, con una spunta blu a fianco, che si presenta come l’account ufficiale di assistenza dell’applicazione di messaggistica di Meta.

La prima cosa che penso è che sia uno scherzo, o una truffa.

Poi però leggo sui giornali esteri che è tutto vero: che c’è stato un attacco che ha infettato i telefoni di numerosi giornalisti e attivisti politici. E che dietro a tutto questo c’è il software spia di un’azienda nata in Israele, ora acquistata da un fondo con sede negli Stati Uniti d’America, che si chiama Paragon Solutions.

Così, come WhtasApp mi consiglia di fare, contatto Citizen Lab, centro di ricerca indipendente con sede a Toronto che ha scoperto questo attacco. E loro mi spiegano cos’è successo: Mi spiegano che sono stato inserito in un gruppo WhatsApp.
Che in quel gruppo è stato mandato un documento pdf. Che appena il mio telefono ha ricevuto quel pdf – doppia spunta grigia – il software spia è entrato nel mio telefono. E da lì può essere andato ovunque.

Ma chi ha ordinato questa attività di spionaggio? Questa è la domanda più importante. Perché i programmi spia di Paragon Solutions costano decine di milioni di euro e gli acquirenti a cui possono essere venduti sono due: i governi e le agenzie di sicurezza. E Paragon ha sempre dichiarato di vendere la propria tecnologia esclusivamente ai governi di Paesi democratici, con obiettivi ben specifici, dal contrasto al terrorismo a gravi minacce alla sicurezza interna.

Ok, ma io non sono né un terrorista, né una grave minaccia per la sicurezza interna.

Sono un giornalista e dirigo un giornale, Fanpage, che ha condotto numerose inchieste come Lobby Nera, sui rapporti tra la destra di governo e quella estrema, o Gioventù Meloniana, sul neofascismo tra i giovani di Fratelli d’Italia, o più di recente La Cattiva Scuola, sulle truffe per diventare insegnanti in Italia.

Chi ha spiato nel mio telefono non l’ha fatto per sapere dove andavo in vacanza, e con chi. L’ha fatto perché cercava documenti, o indizi sulle nostre prossime attività d’inchiesta. Questo non si può fare, assolutamente: quando un governo compra Graphite di Paragon, deve dichiarare di rispettare le condizioni di utilizzo del software, che proibiscono esplicitamente di colpire giornalisti e altri membri della società civile.

Di fatto, oggi Paragon può vendere il suo software spia a soli trentasette governi al mondo. Come ha dichiarato il suo presidente esecutivo, l’americano John Fleming, “a un gruppo selezionato di democrazie globali, principalmente agli Stati Uniti e ai suoi alleati”.

Alt un attimo: tra questi alleati c’è anche l’Italia?

Non lo sappiamo con certezza. Ma lunedì 3 febbraio sul giornale israeliano YNet è uscito un articolo in cui si dice testuale che “in particolare, l’Italia è cliente di Paragon Solutions”. Articolo mai smentito né dall’azienda né dal governo italiano. Né da fonti interne all’azienda cui abbiamo avuto accesso.  Sappiamo anche che ci sono diversi italiani tra le persone spiate con il software di Paragon Solutions. E che tra loro ci sono anche attivisti e membri della società civile che hanno espresso posizioni fortemente critiche nei confronti delle politiche del governo.

Nella sera di mercoledì 5 febbraio, però, con una nota ufficiale, il governo italiano ha escluso che giornalisti e attivisti siano stati sottoposti a controllo da parte dell'intelligence, e quindi del Governo. Tutto a posto? No, perché la mattina seguente, Paragon Solutions ha annunciato di aver terminato il proprio accordo con il governo italiano per “violazione del quadro etico”.

Di fatto, Paragon dice due cose: che il governo italiano aveva in essere un contratto con Paragon mentre i telefoni di almeno sette tra giornalisti e attivisti italiani erano spiati. E che quel contratto è stato stracciato proprio perché qualcuno ha spiato quegli attivisti e quei giornalisti. Implicitamente, però, ne dice pure una terza. Che il governo italiano ha omesso di dire che era cliente di Paragon. E che ha mentito quando ha detto che sotto il cappello di quel contratto nessun giornalista o attivista era stato spiato.

Ed è per questo che rivolgiamo queste semplici cinque domande al governo italiano.
Per fugare ogni dubbio:

In primo luogo, l’Italia era o no cliente dell’azienda Paragon Solutions?

Il governo può ufficialmente smentire di aver acquistato spyware o tecnologie informatiche da tale azienda?

Il governo può ufficialmente smentire di aver spiato il direttore di un giornale che ha fatto inchieste sui partiti di governo con un software che, in teoria, dovrebbe essere usato per catturare terroristi, mafiosi e trafficanti di droga?

Il governo può ufficialmente smentire di aver usato questa tipologia di attacchi informatici per spiare altri attivisti e membri della società civile?

Perché, se il governo non lo ha fatto, l’azienda Paragon dice di aver chiuso il contratto con l’Italia per le violazioni delle condizioni di utilizzo?

Anzi ce n’è pure una sesta: se davvero l’Italia non c’entra nulla, quali iniziative intende prendere il governo italiano per tutelare i propri concittadini da questo genere di azioni?

Sono domande semplicissime, ma non smetteremo di farle, fino a che non avremo delle risposte vere e puntuali.
Perché spiare i giornalisti e gli attivisti, questo sì, è un metodo da regime.
E noi vogliamo essere certi, perlomeno, di non vivere in un regime.

400 CONDIVISIONI
Immagine
Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell'European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è "Nel continente nero, la destra alla conquista dell'Europa" (Rizzoli, 2024).
8 contenuti su questa storia
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views