Matteo Salvini va a Lampedusa e si riprende mentre cammina tra le persone ammassate nell'hotspot. Filma minori e disagio e pubblica il video sui social, rilanciando i suoi decreti sicurezza in piena campagna elettorale. "Quella alle mie spalle non è accoglienza. È un deposito, una cosa indegna di un Paese civile", dice Salvini. E ha ragione: la situazione nel centro di Lampedusa non è dignitosa. Chiunque ha diritto a chiedere asilo e condizioni igieniche disumane, degrado e materassi ammassati l'uno sull'altro non sono accettabili. Ma ci sono due cose che il leader della Lega non dice.
Primo, se l'accoglienza dei migranti è deteriorata negli anni è in gran parte a causa dello smantellamento del sistema Sprar, voluto proprio dai decreti Sicurezza scritti dallo stesso Salvini durante il capitolo al Viminale. Si è passati dai piccoli centri diffusi sul territorio, che si occupavano anche dell'integrazione delle persone che vi arrivavano, ai grandi Cas: meno strutture, ma più grandi, dedicate all'accoglienza straordinaria. Che però, in realtà come quella di Lampedusa, finiscono per diventare "depositi", come ha detto appunto Salvini.
Secondo, mentre il leader della Lega promette di tornare presto a "difendere i confini", sa cosa succederebbe alle persone che ha visto nell'hotspot se venissero davvero applicate le ricette che lui e Giorgia Meloni propongono?
In Libia uno Stato de facto non esiste: con chi vuole stringere accordi la destra?
I due leader di centrodestra, in pieno stile "aiutiamoli a casa loro" non fanno che parlare di accordi con le autorità nordafricane per la gestione dei flussi migratori. Quindi la Libia, da dove partono la maggior parte delle persone che tentano la traversata del Mediterraneo. Salvini e Meloni parlano di hotspot nei Paesi di origine da dove le persone migranti possono inoltrare all'Unione europea la propria richiesta di asilo. Ma la Libia non è un porto sicuro, in che altro modo bisogna dirlo?
Lo hanno messo in chiaro le Nazioni Unite e decine di organizzazioni internazionali: la Libia, dove dal 2011 va avanti una sanguinosa guerra civile mai definitivamente risolta, non può essere considerata un porto sicuro. Gli scontri tra le diverse fazioni di miliziani coinvolgono anche nella capitale: appena qualche giorno fa a Tripoli diverse persone sono morte nelle violenze.
Come si può pensare di poter stringere nuovi accordi con le autorità libiche, assicurando il rispetto della normativa internazionale a tutela dei rifugiati e dei più basilari diritti umani? Il governo riconosciuto dalle Nazioni Unite è quello di Abdul Hamid Dbeibah, ma uno Stato de facto non esiste. Fathi Bashagha, nominato dal parlamento di Tobruk con il sostegno del generale Khalifa Haftar, ha tentato più volte di prendere Tripoli, accusando Dbeibah di non essere l'autorità legittima. Secondo l'accordo stretto con l'Onu il processo di pace avrebbe dovuto portare alle elezioni lo scorso dicembre, ma i cittadini libici non sono mai andati alle urne. E probabilmente, per lo stato attuale delle cose, non ci andranno a breve.
Salvini e Meloni dicono "aiutiamoli a casa loro": ma la Libia per i migranti è un inferno
Impedire alle persone di partire dalla Libia significa lasciarle nei centri di detenzione, dei veri e propri lager che, tanto che siano gestiti da funzionari quanto da miliziani, quotidianamente sono teatro di violenze, tortura, stupri e violazioni dei diritti umani. Se le persone si si imbarcano su dei gommoni precari, lungo una delle rotte migratorie più pericolose al mondo, è perché il luogo da cui partono è di gran lunga peggiore. E la Convenzione di Ginevra del 1951, all'articolo 33, condanna chiaramente il respingimento delle persone che vogliono chiedere la protezione internazionale. È un diritto di tutti, presentare domanda di asilo: negarlo a chi subisce costantemente violenze e torture nei centri di detenzione in Libia è un crimine.
L'Ong Mediterranea Saving Humans ha denunciato quanto accaduto in Libia a un ragazzo di appena 15 anni, dal Darfur. In un filmato si vede Mazin, questo il suo nome, con le spalle al muro mentre viene picchiato e minacciato con un mitra. L'arma è puntata direttamente al suo volto. Il video serve ai miliziani per chiedere un riscatto e purtroppo questo avviene all'ordine del giorno in Libia. Rimandare le persone in Libia significa rispedirle dritte a tutto questo.
E la sinistra?
Nonostante tutto questo, sia le autorità italiane che quelle europee da anni stringono accordi con quelle libiche per contenere i flussi migratori verso il nostro continente. Da cinque anni l'Italia (con il sostegno dell'Unione europea) finanzia la Guardia costiera libica, che respinge i migranti in mare. Il Memorandum con la Libia è stato siglato dal governo italiano nel 2017, quando Paolo Gentiloni era a Palazzo Chigi e Marco Minniti al Viminale. Entrambi sono esponenti del Partito democratico. L'accordo è stato rinnovato già una volta nel 2020 e verrà prorogato automaticamente per altri tre anni a febbraio 2023, se non si deciderà di annullarlo prima. Per farlo c'è tempo fino al 2 novembre.
Difficilmente la destra di Salvini e Meloni chiederà di superare il Memorandum. Nelle loro ricette elettorali, infatti, gli accordi con i Paesi nordafricani e gli hotspot fuori dai confini comunitari sono gran parte della soluzione. Che sia realizzabile o meno, per i motivi che abbiamo visto prima, poco importa. E la sinistra?
Alcune settimane fa, forse in un impeto da campagna elettorale, il Pd non ha votato (in seno all'approvazione in commissione delle missioni internazionali) il rifinanziamento alla Guardia costiera libica. Ma i democratici sapranno prendere una posizione chiara e alternativa di fronte alle proposte della destra, tra decreti Sicurezza e blocco navale? Saranno in grado di riconoscere finalmente che la Libia non è un porto sicuro e che non è possibile alcun accordo con le autorità di Tripoli? Sapranno mettere la dignità e i diritti delle persone migranti al primo posto?