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Settimana corta a parità di stipendio, c’è la proposta di legge: cosa dice il testo di Pd, M5s e Avs

Prima promuovere i contratti collettivi che riducano l’orario di lavoro fino a 32 ore settimanali, a parità di stipendio, ‘convincendo’ le aziende con un taglio dei contributi. Poi, dopo tre anni, tagliare l’orario per legge con un Dpcm. Questa è la proposta di Pd, M5s e Avs, che dopo mesi hanno trovato un compromesso e depositato un testo unico sulla settimana corta. La discussione in Aula è attesa il 21 ottobre.
A cura di Luca Pons
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La proposta di legge per introdurre in Italia la settimana corta, adesso, c'è: si punta a 32 ore di lavoro a settimana, anche divise su quattro giorni, a parità di salario. Con una sperimentazione iniziale di tre anni, e poi un intervento del governo a tagliare ufficialmente la settimana lavorativa. Dopo mesi di lavoro il Pd, il Movimento 5 stelle e Alleanza Verdi-Sinistra hanno trovato un compromesso per un testo unico, che ora è al vaglio della commissione Lavoro della Camera. Dovrebbe arrivare in Aula già il 21 ottobre – anche se nell'opposizione c'è il timore che la maggioranza faccia slittare il grosso della discussione all'anno prossimo, dopo la manovra.

Come anticipato già ad aprile, c'erano tre testi diversi da cui partire. Le proposte dei partiti erano simili in alcuni aspetti, ma profondamente diverse in altre. "Dobbiamo trovare un punto d'incontro e credo che ci riusciremo", aveva detto il deputato Franco Mari (Avs) a Fanpage.it ad aprile. Alcune settimane dopo, ad agosto, il capogruppo del Pd in commissione Lavoro, Arturo Scotto, aveva rivendicato i punti fissi che per i dem erano irrinunciabili. Alla fine, il compromesso è arrivato, proprio nei giorni in cui invece le tensioni tra M5s e Pd a livello nazionale sono tornate a crescere.

Il primo passo: contratti collettivi fino a 32 ore a settimana

Il testo della proposta, che Fanpage.it ha potuto leggere, si apre premettendo una serie di ragioni per cui la riduzione dell'orario di lavoro avrebbe un impatto positivo. Si parla di  "aumento della qualità del lavoro e della produttività", "tassi di occupazione più elevati", "riduzione dello stress", "tempo ed energie per la vita privata", ma anche una "riduzione dell'impatto ambientale del lavoro".

Concretamente, la norma prevede di "favorire" dei contratti collettivi e aziendali che vadano verso una "progressiva riduzione dell'orario di lavoro contrattuale, fino a 32 ore settimanali, a parità di salario, anche nella forma di turni su quattro giorni settimanali". Si tratta – va sottolineato – non di una legge che introduce da subito l'obbligo di ridurre la settimana lavorativa, ma vuole spingere sempre più aziende ad adottarla. Dopo tre anni invece, se tutto andasse come previsto, dovrebbe essere il governo con un Dpcm a ridurre ufficialmente l'orario di lavoro.

Gli incentivi per spingere le aziende alla sperimentazione

Come funzionerebbe questa "spinta" verso una settimana corta? Per tre anni dopo l'entrata in vigore della legge, le imprese che applicano questi contratti potrebbero ottenere un taglio dei contributi fino al 30% (tanto più alto quanto più viene ridotto l'orario). Per le piccole e medie imprese si potrebbe andare fino al 50%, per le aziende che effettuano lavori particolarmente gravosi e pesanti fino al 60%. Per pagare queste detrazioni verrebbe stanziato oltre mezzo miliardo di euro: 50 milioni di euro per il 2024, e poi 550 milioni divisi tra il 2025 e il 2026. Dopodiché, gli incentivi terminerebbero.

L'altra possibilità: il referendum dei dipendenti

C'è, però, anche un modo diverso per arrivare a una riduzione dell'orario di lavoro. Se non c'è un contratto collettivo che la prevede, possono essere i sindacati più rappresentativi, o anche il 20% dei dipendenti di un'azienda, a prendere in mano la situazione. C'è infatti la possibilità di "presentare una proposta di contratto" all'azienda, ed entro tre mesi questa proposta dovrebbe essere sottoposta a un vero e proprio referendum dei dipendenti.

Nel caso in cui la maggioranza voti a favore, la proposta di contratto "si intende approvata", recita il testo, se il datore di lavoro dà il proprio assenso entro trenta giorni. Se il referendum non passa, invece, la proposta non può essere ripresentata prima che siano passati sei mesi.

Il taglio ufficiale dell'orario di lavoro dopo tre anni

Come detto, la riduzione dell'orario di lavoro per legge è inserita nella proposta, ma non da subito. Superati i primi tre anni di sperimentazione con incentivi finanziati dallo Stato, la palla passerebbe al governo. Un Dpcm, a quel punto, dovrebbe ridurre l'orario lavorativo normale, che attualmente è di 40 ore a settimana.

Per questa riduzione ci sono dei paletti. In particolare, in tutti i settori in cui almeno il 20% dei dipendenti ha sperimentato la settimana corta, il taglio dovrebbe essere "non inferiore al 10%". Sostanzialmente questo significherebbe che, se una parte significativa dei lavoratori in un settore ha partecipato alla riduzione dell'orario nei tre anni precedenti, la settimana lavorativa in quel settore scenderebbe da 40 ore a (massimo) 36, con la possibilità di andare anche più in basso.

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