Appare abbastanza arduo impostare un giudizio di merito sulla rielezione di Giorgio Napolitano senza cadere nella bolgia della contesa politica. Tuttavia, quello che è certo, è l'eccezionalità della rielezione, caso unico nella storia repubblicana. Un secondo mandato che apre una serie di interrogativi, non tanto sulla liceità e sulla correttezza formale di una rielezione, quanto su criteri di opportunità istituzionale. Ragionamenti che tornano alla ribalta dopo decenni, considerando che era dalla mancata rielezione di Giovanni Gronchi (che fu il primo a "sperare concretamente" nel secondo mandato) che non si poneva una questione di questo tipo.
Un datato studio del professor Rescigno, pubblicato dalla Camera dei Deputati, del resto, affronta la questione in maniera analitica. Il riferimento è ovviamente all'articolo 85 della Costituzione, che recita testualmente:
Il Presidente della Repubblica è eletto per sette anni.
Trenta giorni prima che scada il termine, il Presidente della Camera dei deputati convoca in seduta comune il Parlamento e i delegati regionali, per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica.
Se le Camere sono sciolte, o manca meno di tre mesi alla loro cessazione, ha luogo entro quindici giorni dalla riunione delle Camere nuove. Nel frattempo sono prorogati i poteri del Presidente in carica.
Ricordando che i sette anni sono frutto della considerazione che "in precedenza la durata della Camera era di cinque anni e quella del Senato di sei", la considerazione è chiara: "Una durata maggiore di sette anni è apparsa ed è effettivamente eccessiva per una carica pur sempre così politicamente esposta ed impegnativa". Il punto è che costituzionalmente non si è ritenuto giusto disporre la non rieleggibilità alla carica per evitare una serie di inconvenienti legati alla "responsabilità dei soggetti politici", ma si è lasciato a ragioni di "opportunità della prassi" la determinazione delle forze politiche di non procedere ad una rielezione. Nei fatti la stessa forma repubblicana implica "elettività e durata temporanea" delle cariche politiche e proprio la durata di 7 anni è sembrata sempre "ragionevole affinché la carica non si trasformi in una elezione a vita mascherata" e impedire che il "Presidente stesso sviluppi una sua politica indipendente per un così gran numero di anni da divenire praticamente irresistibile".
Insomma, comunque la si guardi, la rielezione di un Capo dello Stato è un evento che apre moltissimi interrogativi, anche in ragione della tenuta dell'ordinamento democratico. Chiaramente quella di Napolitano è una scelta apprezzata dalla quasi totalità delle forze politiche, ma la considerazione che "sette anni siano più che sufficienti" resta condivisa da gran parte dei costituzionalisti e degli studiosi in materia. E questo è un fatto di cui tenere conto.