Sea Watch, un sopravvissuto: “Piuttosto che tornare in Libia preferirei dare la mia vita ai pesci”
La nave Sea Watch 3, dell'omonima ong tedesca, ha recuperato in mare 53 persone, lo scorso 12 giugno. L'imbarcazione, che batte bandiera olandese, si trova adesso in stand-by, al limite delle acque territoriali italiane, al largo di Lampedusa, a circa 16 miglia dall'isola. Dopo che la Libia ha offerto il porto di Tripoli per lo sbarco, i volontari si sono diretti verso l'Italia. Dieci persone sono state fatte scendere dalla Sea Watch 3 nella giornata di sabato: si tratta di alcuni minori, donne incinte e persone malate, che sono stati tutti portati a Lampedusa. Dopo il sesto giorno di navigazione i profughi sono allo stremo delle forze, ma per il ministro degli Interni, che ha vietato il transito alla nave dell'organizzazione umanitaria, applicando il decreto Sicurezza bis, la "nave fuorilegge per me può stare lì per settimane, per mesi, fino a Capodanno". Dopo l'ennesima accusa lanciata dal vicepremier leghista, secondo cui la Sea Watch 3 avrebbe messo in atto una vera e propria azione di pirateria, l'organizzazione tedesca ha deciso di querelarlo per diffamazione.
Un video diffuso su Twitter dalla Sea Watch contiene la testimonianza di uno dei migranti recuperati, che attendono a bordo della nave. Il suo nome è Hermann, e le sue parole raccontano, meglio di qualsiasi altra considerazione, lo stato psicologico dei 43 migranti: "Piuttosto che tornare in Libia, preferirei morie. Preferirei dare la mia vita ai pesci piuttosto che essere nuovamente torturato". Un racconto agghiacciante delle condizioni all'interno delle carceri libiche. "Chi non vorrebbe essere libero nella sua vita?" chiede Hermann, con lo sguardo rivolto verso la videocamera. E ancora: "Chi vorrebbe soffrire per tutta la sua vita? Se oggi ci troviamo in questa situazione non è perché noi vogliamo esserci, ma perché ci siamo ritrovati".
"Vorrei – prosegue Hermann nel filmato – inviare un messaggio al ministro dell'Interno tedesco: per favore, pensi alle vite che stiamo conducendo. Non è umano lasciare le persone morire in mare. Coloro che ci aiutano, coloro che ci salvano, non sono criminali: salvano le nostre vite. Ci pensi, siamo tutti figli dello steso Dio, dovremmo vivere insieme come amici, come fratelli. Dovremmo vivere le nostre vite come voi. Anche noi abbiamo diritto alla libertà come tutti gli altri".
Intanto l'Unione europea ha ripetuto che la Libia non è un porto sicuro, e che quindi queste persone non dovrebbero essere riportate nel Paese nordafricano, come ha chiesto più volte il ministro Salvini. Oggi una portavoce della Commissione europea ha fatto sapere che "la posizione della Commissione Ue sugli sbarchi è già nota: non spetta a noi definire in quale posto o porto debbano avvenire gli sbarchi. Le navi che battono bandiera europea sono obbligate a rispettare il diritto internazionale e il diritto sulla ricerca e salvataggio in mare che comporta la necessità di portare delle persone in un posto o porto sicuro e la Commissione è convinta, e lo continuiamo a dire anche oggi, che queste condizioni non si ritrovano in Libia".