Sea Watch, Tar del Lazio respinge il ricorso dell’ong: resta il divieto di sbarco
AGGIORNAMENTO: Il Tar del Lazio ha respinto il ricorso dell'organizzazione umanitaria tedesca Sea Watch, presentato in via d'urgenza ieri, per contestare il divieto di ingresso in acque territoriali e il ‘no allo sbarco', contenuto nel provvedimento del ministro degli Interni Matteo Salvini. Lo ha fatto sapere il Viminale. Dopo sette giorni di navigazione in mare la nave Sea Watch 3 si trova in stand-by, fuori dalle acque territoriali, a 16 miglia a Sud dell'isola di Lampedusa con 43 migranti a bordo, salvati una settimana fa.
Il divieto emesso dal Viminale, che ha reso operativo il decreto Sicurezza bis, era stato controfirmato il 15 giugno anche dai ministri della Difesa e dei Trasporti Elisabetta Trenta e Danilo Toninelli. "Non abbiamo ancora ricevuto nulla e, anzi, ci sembra piuttosto inusuale che altri vengano a conoscenza di una decisione del tribunale prima ancora che ne siano informate le parti", commenta il legale di Sea Watch Lucia Gennari. Nell'istanza cautelare si chiedeva, in particolare, la sospensione d'urgenza della direttiva del 13 giugno e del divieto d'ingresso firmato dai ministri Salvini, Toninelli e Trenta. "Attendiamo di vedere il provvedimento – dice ancora l'avvocato Gennari – e poi valuteremo cosa fare, anche perché l'istanza di sospensione non è l'unico strumento a disposizione per ricorrere contro il provvedimento".
Intanto la Procura di Agrigento ha aperto un fascicolo, a carico di ignoti, ipotizzando per Sea Watch il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Nei giorni scorsi, il Viminale aveva dato l'autorizzazione allo sbarco di 10 delle 53 persone, fra cui immigrati che versavano in cattive condizioni di salute bimbi in fasce. La Squadra mobile di Agrigento sta interrogando i migranti che sono stati già scesi dalla nave. Il procuratore aggiunto Salvatore Vella ha delegato i poliziotti di acquisire le testimonianze utili al fine di individuare eventuali scafisti. Fonti della procura sottolineano che, al momento, non sono in fase di valutazione le condotte della ong, considerato che l'imbarcazione non si trova in acque italiane.
Ieri la portavoce di Sea Watch Giorgia Linardi aveva sottolineato le difficoltà che in queste ore stanno incontrando i volontari e la comandante: "Lo sbarco parziale, come sempre, rende ancora più difficile la gestione di coloro che senza un valido motivo si trovano ancora bordo. Tra loro ci sono anche minori non accompagnati, il più piccolo ha appena 12 anni".
Questa mattina anche il commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, Dunja Mijatovic, aveva espresso preoccupazione per l'atteggiamento del ministro degli Interni e del governo italiano nei confronti delle organizzazioni umanitarie che si occupano dei salvataggi nel Mediterraneo: "I migranti salvati in mare non dovrebbero mai essere sbarcati in Libia, perché i fatti dimostrano che non è un Paese sicuro". Il commissario ha chiesto che alla "Sea Watch 3 sia indicato tempestivamente un porto sicuro che possa essere raggiunto rapidamente".
Ong Mediterranea in difesa della Sea Watch
"Tutte le istituzioni internazionali ed europee stanno spiegando al governo italiano che la sua politica violenta e disumana viola norme e principi fondamentali che tutelano diritti e dignità delle persone. Ma la propaganda continua a vincere sul buon senso e sul diritto". Lo ha scritto su Facebook Mediterranea Saving Humans, la piattaforma delle associazioni italiane che con Nave Mare Jonio da ottobre scorso monitora il Mediterraneo centrale."Capiamo, del resto, che se non si occupasse di creare emergenze e incattivire l'opinione pubblica contro capri espiatori senza colpe – prosegue Mediterranea – questo governo dovrebbe iniziare a preoccuparsi dei veri problemi del Paese, come l'impoverimento, le diseguaglianze, il lavoro, la scuola, il welfare".
"A chi dice che i naufraghi della Sea-Watch3 sarebbero dovuti essere riportati in Libia consiglieremmo un soggiorno in quel paese distrutto, tra stupri, torture e bombardamenti. Sea-Watch ha il diritto di sbarcare le persone soccorse nel porto sicuro più vicino, che in questo caso è Lampedusa. Ogni direttiva o decreto – conclude Mediterranea – sono subordinati al diritto internazionale. Ogni tribunale darebbe loro ragione, ma il decreto sicurezza è costruito proprio per bypassare le procure e agire preventivamente contro i diritti e chi li difende".