Sea Watch salva migranti bloccati su piattaforma petrolifera: “Colmiamo ancora il vuoto delle istituzioni”

Per quattro giorni, 32 persone in fuga dalla Libia sono rimaste bloccate su una piattaforma petrolifera nel Mediterraneo centrale, senza acqua, cibo e assistenza medica. Un uomo è morto nell'attesa, mentre le autorità italiane, maltesi ed europee sono rimaste inerti di fronte alle richieste di soccorso lanciate dalle Ong. Solo l'intervento autonomo della nave Aurora di Sea Watch ha permesso di salvare i superstiti, dopo giorni di angoscia e con il rischio di un respingimento illegale verso la Tunisia. La Ong denuncia, ancora una volta, l'abbandono istituzionale e la criminalizzazione delle operazioni di salvataggio civile nel Mediterraneo: "Anche questa volta ci siamo assunti la responsabilità di colmare un gravissimo vuoto istituzionale dettato da politiche disumane e profondamente razziste. Il nostro ruolo come società civile è esserci laddove le istituzioni preferiscono girarsi dall'altra parte, in un Mediterraneo dove l'omissione di soccorso è ormai prassi impunita, mentre l'obbligo di soccorrere chiunque si trovi in pericolo è regolarmente criminalizzato", ha dichiarato Giorgia Linardi, portavoce di Sea Watch.
Il salvataggio è arrivato però al limite: secondo quanto riferito dalle Ong, infatti, una persona era già deceduta durante l'attesa e molte altre versavano già in condizioni di salute estremamente critiche.
Il viaggio disperato e l'approdo sulla piattaforma Miskar
La fuga è iniziata sei giorni fa, quando un gruppo di trentadue persone ha lasciato la costa libica a bordo di un gommone fatiscente. Tra loro c'erano uomini, donne e almeno due bambini, alla ricerca di una vita lontana dalle violenze e dalle torture dei centri di detenzione libici. Dopo poche ore di navigazione, l'imbarcazione è andata però alla deriva nel Mediterraneo centrale, e così, nel tentativo di salvarsi, i naufraghi sono riusciti a raggiungere la piattaforma petrolifera Miskar, di proprietà della multinazionale britannica British Gas, situata al largo delle coste tunisine. Da quel momento, è iniziato un calvario di quattro giorni: senza cibo, acqua o assistenza medica, le trentadue persone sono rimaste intrappolate su una struttura di metallo in mezzo al mare, esposte al freddo e alle intemperie.
L'allarme delle Ong e il salvataggio di Sea-Watch

A lanciare il primo appello è stata la piattaforma di soccorso Alarm Phone, che ha ricevuto la richiesta di aiuto direttamente dai naufraghi; la Ong ha immediatamente informato le autorità italiane, maltesi e tunisine, sollecitando un intervento di soccorso. Mentre l‘aereo Seabird di Sea Watch sorvolava la piattaforma, documentando la presenza dei migranti e confermando le condizioni critiche in cui si trovavano, nessuna risposta concreta è arrivata però dalle istituzioni, come denuncia Linardi: "Nessuna delle autorità contattate si è assunta la responsabilità giuridica e umanitaria di un soccorso obbligatorio. Lo abbiamo fatto noi, con la nostra Aurora".
"Noi non ci fermiamo", ha continuato Linardi, "il Mediterraneo ha bisogno dell'occhio vigile della società civile e di braccia che tirino le persone fuori dall’acqua. Noi ci siamo, ma questo livello di disumanità dovrebbe scuoterci profondamente".
La paura del respingimento in Tunisia
Oltre alla sofferenza fisica, sulle 32 persone gravava il rischio di essere riportate in Tunisia, un paese considerato non sicuro per i migranti. Le Ong denunciano infatti da tempo come in Tunisia i migranti vengano sottoposti a violenze, abusi e detenzioni arbitrarie: "Le persone in movimento in Tunisia vengono brutalmente picchiate, stuprate e persino vendute come schiavi. Portarle lì è illegale", ha denunciato più volte anche Sea Watch. L'ipotesi di un respingimento in Tunisia avrebbe rappresentato una palese violazione del diritto internazionale, che impone di non trasferire le persone in luoghi dove potrebbero subire trattamenti inumani o degradanti.
La strage silenziosa del Mediterraneo
La vicenda della piattaforma Miskar si inserisce in un quadro di crescente violenza lungo la rotta del Mediterraneo centrale: secondo l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim), almeno 80 persone sono infatti morte dall'inizio dell’anno e 24 risultano ancora disperse tra le onde. Solo nel 2024, più di 4.200 migranti sono stati invece intercettati in mare e riportati in Libia, luogo in cui non è difficile finire nelle mani di trafficanti e subire così torture e ulteriori violenze.