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Sea Watch, la capitana: “Entro in acque italiane. Vite dei migranti vengono prima della politica”

Carola Rackete, la capitana della nave Sea Watch che da ormai 13 giorni continua a rimanere bloccata a largo di Lampedusa, presto non avrà scelta. “So cosa rischio entrando a Lampedusa”, afferma, perfettamente conscia che verrà accusata di favorire l’immigrazione clandestina, forse anche di associazione a delinquere e che la sua nave verrà multata e confiscata. “Lo so, ma quanti altri soprusi devono sopportare queste persone che ho salvato in mare? La loro vita viene prima di qualsiasi gioco politico o incriminazione”.
A cura di Annalisa Girardi
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Carola Rackete, capitana tedesca della nave Sea Watch, che da ormai 13 giorni rimane bloccata a largo delle coste di Lampedusa con ancora 42 migranti a bordo, non ha altra scelta: "Io voglio entrare. Entro nelle acque italiane e li porto in salvo a Lampedusa", afferma in un'intervista a Repubblica. Rackete sta aspettando il pronunciarsi della Corte europea dei diritti umani, e poi non avrà "altra scelta che sbarcarli lì" perfettamente conscia che verrà accusata di favorire l'immigrazione clandestina, forse anche di associazione a delinquere e che la sua nave verrà multata e confiscata. "Lo so, ma io sono responsabile delle 42 persone che ho recuperato in mare e che non ce la fanno più. Quanti altri soprusi devono sopportare? La loro vita viene prima di qualsiasi gioco politico o incriminazione. Non bisognava arrivare a questo", aggiunge. Intanto, il portavoce della Corte di Strasburgo, ha affermato che una decisione sarà presa oggi pomeriggio.

Ma lo stallo è ormai la nuova prassi del Mediterraneo: una nave con a bordo dei migranti in balia delle onde, di fronte all'impasse dell'Europa. "L'Italia mi costringe a tenerli ammassati sul ponte, con appena tre metri quadrati di spazio a testa", racconta Rackete: "Qualcuno minaccia lo sciopero della fame, altri dicono di volersi buttare in mare o tagliarsi la pelle. Non ce la fanno più, si sentono in prigione". Ci sono anche minorenni, continua la capitana. Tre ragazzi di appena 11, 16 e 17 anni. "In Libia hanno subito abusi.  Il 14 giugno ho fatto richiesta al Tribunale dei minorenni di Palermo perché prendesse in carico il loro caso. Non mi ha risposto nessuno". Nemmeno dal Centro di coordinamento soccorsi di Roma la nave ha ricevuto risposte, afferma Rackete: "Invio almeno dieci mail al giorno alle diverse autorità competenti. Da Roma mi rispondono ‘non siamo responsabili'. Allora chiedo il place of safety, il porto di sbarco, e mi ripetono ‘non siamo responsabili'. Girano tutti i miei messaggi al ministero dell'Interno, dicono di avere le mani legate. È chiaro che il Centro è stato esautorato, è Matteo Salvini che decide e provoca lo stallo".

Al leader del Carroccio che intima alla Sea Watch di andare in Olanda, Rackete risponde sottolineando quanto sarebbe ridicolo dover circumnavigare l'intera Europa, e spiega che nemmeno Amsterdam collabora: "Non è colpa nostra se il Libia c'è la guerra, ci dicono. Non è colpa nostra se in Africa sono poveri, continuano. Siamo circondati dall'indifferenza dei governi nazionali". Rackete è pronta ad assumersi tutte le responsabilità della sua scelta: "La mia vita è stata facile, ho potuto frequentare 3 università, a 23 anni mi sono laureata. Sono bianca, tedesca, nata in un Paese ricco e con il passaporto giusto. Quando me ne sono resa conto, ho sentito un obbligo morale di aiutare chi non aveva le mie stesse opportunità".

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Giorgia Linardi: "L'Italia e l'Europa stanno trattando i migranti come bestie"

Sulla questione è intervenuta anche Giorgia Linardi, portavoce italiana della Sea Watch, che su La7 ha commentato il ricorso alla Corte europea dei diritti umani e in particolare all'Articolo 3, quello che parla di trattamenti degradanti "riservato alle persone ancora a bordo lasciate a friggere sotto questo sole". Linardi commenta gli sbarchi per motivi sanitari avvenuti finora, definendo questo modo di procedere "estenuante" e spiegando come spesso renda "sempre più difficile la gestione delle persone rimaste a bordo, che chiedono se lo sbarco avvenga su base razziale o fino a che punto bisogna sentirsi male per essere sbarcati". La portavoce racconta che alcuni migranti minacciano di buttarsi in mare: "È una situazione che non possiamo sostenere a lungo, stiamo ricorrendo ai rimedi interni e internazionali che la legge mette a disposizione. Dopodiché, se nemmeno questi saranno sufficienti il comandante non avrà altra scelta che prendere le proprie decisioni. Attraverso la corte europea abbiamo dato alle persone a bordo di esercitare in quanto esseri umani, anche se mi pare ce ne stiamo dimenticando, la possibilità di far presente quali siano i propri diritti contro le violazioni da parte in questo caso dello Stato".

A Salvini che chiama la Sea Watch una nave pirata, Linardi risponde: "Bisogna veramente sforzarsi per mantenere la calma nel commentare questi dichiarazioni fatte da un’alta carica dello Stato che abusa della propria posizione per permettersi di insultare dei liberi cittadini, che indagini di diverse procure della Repubblica italiana hanno dimostrato non colludere in alcun modo con l’attività dei trafficanti". Quando il ministro dice di portare queste persone in Olanda o Germania, continua la portavoce, sta affermando "qualcosa di fattibile e che anzi poteva essere già essere portato a termine da giorni. Quello che manca è l’ok da parte del ministro dell’Interno allo sbarco. Già dal giorno seguente al soccorso Sea Watch ha fatto presente la situazione in Germania e abbiamo ottenuto la conferma di disponibilità da parte di alcune città tedesche di accogliere le persone a bordo. Anche la chiesa italiana, partendo della chiesa valdese, si è detta disponibile ad accogliere queste persone".

Ma il leader del Carroccio, prosegue Linardi, nel continuare ad intimare alla nave di sbarcare in Olanda "evidentemente non conosce il diritto del mare che prevede che le persone soccorse debbano essere condotte e sbarcate nel posto sicuro più vicino. Navigare fino in Olanda non avrebbe alcun senso e ne avrebbe anche meno nell’ipotesi di una condivisione delle responsabilità a livello europeo dove queste persone possono essere facilmente sbarcate e poi trasferite in un altro Paese"

Intervenendo invece su Radio CRC, Giorgia Linardi, riferisce quella che è la realtà a bordo della nave: "Le persone sono sempre più debilitate, sono da due settimane a bordo, la temperatura durante il giorno è alta, le persone sono sul ponte al caldo, la notte dormono sul ponte: non siamo su una nave da crociera. È preoccupante lo stato psicologico di queste persone, scoraggia molto: hanno capito questi migranti di non esser voluti. Il nostro Paese li sta trattando come bestie: e lo sta facendo anche l'Europa. Arrivano da queste persone storie irripetibili, non raccontiamo tutto perché sono esperienze terribili e che non vogliono esser condivise".

La capitana, spiega Linardi, sarebbe voluta entrare in acque territoriali italiane per consentire a queste persone di sbarcare già dal primo giorno, "ma non può farlo per le disposizioni del decreto Sicurezza bis. Non possiamo neppure far sbarcare senza un ok dal Ministero: ci sono città tedesche pronte all'accoglienza, ma per motivi propagandistici non ci fanno sbarcare. Il livello del ministero degli Interni rimane infimo: c'è una società civile che mostra un sistema condiviso di accoglienza, se ciò non avviene è per colpa del governo italiano, ma anche degli altri governi europei: è ridicolo che si ritiene la più grande minaccia per la sicurezza nazionale una nave che trasporta migranti disperati".

L'appello dei migranti: "Immaginate una persona che scappa dalle carceri libiche e ora si trova qui"

"Siamo stanchi, siamo esausti. Fateci scendere": anche i migranti a bordo lanciano il proprio appello. In un video, pubblicato da Forum Lampedusa Solidale, parla uno dei migranti soccorsi nel Mediterraneo: "Non ce la facciamo più, siamo come in prigione. Immaginate come deve sentirsi una persona che è scappata dalle carceri libiche e che ora si trova sui, costretta in uno spazio angusto, seduta o sdraiata senza potersi muovere. Inevitabilmente rischia di sentirsi male. Non ce la facciamo più, la barca è piccola e non possiamo muoverci. Non c'è spazio. L'Italia non ci autorizza a sbarcare, chiediamo il vostro aiuto, chiediamo l'aiuto delle persone a terra. Pensateci perché qui non è facile. Manca tutto, non possiamo fare niente, non possiamo camminare o muoverci perché la barca è piccola mentre noi siamo tanti. Non c'è spazio e l'Italia si rifiuta di farci approdare. Chiediamo l'aiuto delle persone a terra, qui non è  facile, non è facile stare su una barca piccola. Per favore non ci lasciate qui così, non ce la facciamo più".

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