Chiariamo subito un concetto: la lettura secondo la quale con l'incontro – farsa tra Grillo e Renzi sia definitivamente tramontata la possibilità di un dialogo fra il Movimento ed il Pd è falsa, errata e priva di fondamento. Soprattutto perché le convergenze possibili fra grillini e democratici sono sempre esistite solo nei sogni di qualche bersaniano (pochi) e dei "delusi di sinistra che votano M5S" (meno), nonché nelle fantasiose ricostruzioni di qualche retroscenista. Il Movimento 5 Stelle, per costituzione e natura, non media, non tratta con i partiti tradizionali, non scende a compromessi per raggiungere un obiettivo. Qualunque esso sia. È una scelta puramente ideologica, condivisibile o meno.
D'altro canto, bisognerebbe ammettere con la stessa onestà intellettuale che al "governo del cambiamento" con il Movimento 5 Stelle non credeva nessuno o quasi, proprio perché non c'era la volontà politica di una inversione di tendenza (o di un salto nel buio, a seconda delle opinioni). Ma di questo si è già scritto in abbondanza, con esagerazioni in un senso o nell'altro. Quanto alla della domanda odierna sul "chi ha vinto e chi ha perso", sembra ricordare quelle sul "falso o vero" di un incontro di wrestling.
Sarebbe forse più interessante provare a capire se il duello (che non c'è stato) ha in qualche modo cambiato qualcosa. Se cioè da quei pochi minuti di confusione e sarcasmo sono emersi o meno elementi nuovi, o almeno se qualcuno die contendenti avrà modo di trarne vantaggio. Le letture in tal senso divergono in modo sostanziale. Da Marco Castelnuovo che su LaStampa nota: "Finora i ribelli restavano fuori dalle istituzioni: si urlava senza cambiare. Ora c’è una novità. Il ribelle è dentro il Palazzo e per i ribelli urlanti non resta che tenere solo alta la voce". Ad Andrea Scanzi, che spiega: "Lo streaming non ha fatto altro che esasperare le posizioni delle due parti: ora i grillini lo sono ancora di più e i renzini idem. I 5 Stelle non sono affatto delusi dalla veemenza di Grillo (anzi l’hanno vissuta come liberazione) e i piddini folgorati sulla via di Matteo Peppo Pig potranno dire che loro sono gli unici democratici (anche se ogni giorno il Pd dimostra il contrario)". Fino a Lavia, su Europa: "Sulla Rete oggi non si è vista non solo la politica ma nemmeno la spettacolarizzazione della politica. Si è vista un’altra cosa. È stata un provocazione, e Renzi ci è caduto. Forse poteva evitarlo".
Eppure i due hanno molto in comune in questo momento. A cominciare dal fastidio con cui hanno vissuto questo appuntamento, che avrebbero volentieri evitato e al quale sono arrivati entrambi con un piano ben preciso (e inconsistente allo stesso tempo). Renzi ha provato a fare il professorino informale, con un prologo preparato su semestre europeo e programmi, finendo con l'essere interrotto subito, conservando certo la calma e provando ad uscirne con una serie di battute, alcune riuscite, altre meno. Grillo è riuscito a buttarla in caciara, "come se fosse una puntata di Ballarò" (cit.), comportandosi nella maniera più irrispettosa ed irritante possibile, ma soprattutto tradendo un enorme nervosismo (perché c'è differenza fra coerenza, durezza e "insulti a caso"). Ed è il nervosismo, di entrambi, ad aver dominato la scena. Di Grillo ne abbiamo scritto poco fa: "È incazzato perché il banco non è saltato a febbraio, né ad aprile, né a novembre e nemmeno adesso. Lo è perché ha un vero avversario, forse due, anche dal punto di vista della comunicazione e della capacità di improvvisazione. Lo è perché, a ragione o a torto, le istanze del Movimento vengono spesso marginalizzate. Lo è perché, stavolta a buona ragione, il Parlamento è sempre più la dependance delle stanze dei bottoni e le decisioni hanno sempre un’origine “altra” rispetto alle sedi naturale. Lo è perché il Movimento cresce al pari delle aspettative dei cittadini. Lo è perché le elezioni europee si avvicinano". E il modo in cui ha reagito alle critiche sul suo comportamento è tra l'infantile e l'inaccettabile.
Ma Renzi non se la passa poi meglio. Costretto a trovare complesse spiegazioni per un'operazione da Prima Repubblica, ricacciato indietro nelle sue ambizioni di allargare la maggioranza, stoppato da Alfano e pressato da una pletora di "soggetti" in vista della formazione del nuovo esecutivo, il segretario del Pd non arrivava certo all'appuntamento nella forma migliore. Per di più dopo aver incontrato il Cavaliere, che gli ha ricordato i paletti per le riforme costituzionali e "indirettamente" il peso della sua decisione tutta politica di considerarlo un interlocutore legittimo. E soprattutto, con la consapevolezza di aver investito in questo progetto gran parte della sua credibilità politica ed il timore che il voto delle Europee testimoni la contrarietà degli italiani alla soluzione "interna" scelta dal segretario democratico.
Insomma, consapevoli di essere "l'uno il rivale dell'altro", i due hanno cercato di delegittimarsi a vicenda. Grillo non può legittimare Renzi come interlocutore politico senza dare indirettamente legittimità anche all'operazione che sta per portarlo a Palazzo Chigi: qualunque discorso nel merito sarebbe suonato come un cedimento rispetto alla linea del fronte su cui ha spostato il Movimento da qualche settimana. Renzi non vuole considerare Grillo come un interlocutore politico e punta a creare fratture, prima nel gruppo parlamentare poi nel suo elettorato. Insomma, quello che ci resta dello scontro sono pochi minuti di casino in streaming, un gioco delle parti e una domanda: ma cosa avrebbero dovuto dirsi Renzi e Grillo?