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Se l’Occidente si ritrova intorno al cadavere di un uomo

La morte di Osama Bin Laden, la soddisfazione del premio Nobel per la Pace Barack Obama e la cruda realtà a cavallo tra guerre e strappi al diritto internazionale.
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La notizia della morte di Osama Bin Laden è stata accolta come una vera e propria liberazione dagli statunitensi, con festeggiamenti e celebrazioni i cui echi hanno raggiunto anche l'Europa. Eppure quella che il Washington Post non esita a definire "a huge national security victory for the United States and a milestone for this administration" rischia di essere una pagina emblematica della recente storia occidentale. Una storia fatta principalmente da una "crisi economica postdatata" che ha nei fatti comportato un cambio di strategia radicale del "potere", con la riproposizione di un modello tendenzialmente aggressivo ed invadente che ha di fatto portato il Pianeta in uno stato di "guerra perenne" (un semplice raffronto fra le criticità dell'atlante globale dei conflitti e gli interventi delle potenze occidentali è sufficiente a chiarire meglio questo concetto).

Ma anche una storia che è possibile raccontare per immagini, per istantanee, per simboli che acquistano senso profondo e diventano metafore della stessa condizione dell'Occidente. C'è fin troppo materiale sulla necessità delle comunità che mancano di coesione interna e attraversano periodi di crisi, di "individuare" un nemico comune, uno spauracchio in grado di catalizzare attenzioni e generare paure, da non necessitare neanche ulteriori commenti. Quello che invece crediamo opportuno mettere in evidenza è un aspetto più immediato, ma allo stesso tempo poco evidenziato dell'intera vicenda. Nella selva di commenti e dichiarazioni successive al blitz operato dal commando USA , a colpire chi scrive è stato soprattutto il breve comunicato rilasciato da un portavoce ecclesiastico: "Di fronte alla morte di un uomo, un cristiano non si rallegra mai, ma riflette sulle gravi responsabilità di ognuno davanti a Dio e agli uomini e spera e si impegna perchè ogni evento non sia occasione di una crescita ulteriore dell’odio, ma della pace".

Ovviamente la questione è molto più complessa di quanto possa sembrare e qualunque tentativo di affrontarla, riducendo e deformando concetti come giustizia, equità e rispetto per la dignità umana, rappresenterebbe un'operazione parziale e faziosa. Tuttavia, non è poi arduo fare alcune semplici considerazioni, proprio a partire dalla rilevanza dell'evento. La vicenda della morte dello sceicco del terrore infatti, ben lungi dall'essere il risultato chiaro e privo di dubbi di un processo lineare e perseguito in modo continuo e razionale, appare come il classico colpo di teatro, che apre per giunta una serie di interrogativi che dovrebbero far riflettere l'opinione pubblica. Già, perchè, al di là delle inevitabili conferme e smentite di rito sull'identità del corpo (ormai non dovrebbero esserci neanche più dubbi), gli interrogativi sono molteplici e complessi. A partire dalla scelta di "non fare prigionieri" e autorizzare l'assassinio del leader di Al Quaeda, passando per la decisione di seppellirne in mare il corpo, fino ad arrivare ai nebulosi passaggi che hanno portato al blitz.

Ma non c'è solo l'aspetto politico – militare da considerare; dal momento che quella contro Al Qaeda, che certamente avrà accusato il colpo (nonostante da tempo si parlasse dello sceicco come di un personaggio ormai ininfluente), non era solo una lotta per "la sicurezza dell'Occidente", ma una vera e propria battaglia senza quartiere carica di ideologia e propaganda, che per anni ha tenuto in scacco intere popolazioni, condizionandone la vita e finanche le scelte "esistenziali". Intere famiglie distrutte dalla guerra al terrore, popolazioni condizionate con le leve dell'insicurezza e della paura, interventi militari e campagne economiche, ma soprattutto decine di migliaia di morti e la sensazione di una crescente insicurezza, di un limite sul crinale dell'accettabilità spostato sempre più avanti. Ebbene, in tal senso, ci piacerebbe sapere cosa cambia dopo la morte di Osama, quale rivoluzione ci attende dopo l'annientamento fisico del nemico numero 1 della libertà e della democrazia, quando avrà fine la repressione, la contrapposizione, la guerra continua e "ineluttabile"?

Forse ha ragione il Premio Nobel per la Pace Barack Obama nel dire che "il mondo è un posto migliore dopo la morte di Osama", forse hanno ragione le decine di migliaia di americani che in queste ore sono scesi in strada a festeggiare l'ennesimo scalpo raccolto dagli States, quasi si trattasse della finale dei Mondiali, forse ha visto giusto chi paragona questa esecuzione a quella di Mussolini o di altri sanguinari dittatori (e non c'è dubbio che Bin Laden fosse un criminale spietato, sia chiaro), forse è possibile che la dea della Pace abbia bisogno di "sacrifici", forse si tratta di un passo deciso verso l'uscita dall'insicurezza e dalla tensione, forse le famiglie delle vittime dell'11 settembre hanno avuto giustizia, forse…

Eppure, più che festeggiare una morte, più che sentirci sollevati, più che ritrovare la speranza, ci sembrava giusto ricordare le parole dello stesso Obama dopo il vile attentato a Gabrielle Giffords:

In un momento in cui il nostro dibattito appare così polarizzato e controverso, è importante fermarsi un attimo ed essere sicuri di discutere in modo da guarire le ferite, non da provocarne altre. Certo, noi dobbiamo esaminare i fatti dietro questa tragedia. Non dobbiamo e non possiamo essere passivi di fronte a questa violenza. Dobbiamo essere disposti a sfidare i vecchi presupposti al fine di ridurre le prospettive di violenza in futuro. Io credo che possiamo essere migliori. Quelli che sono morti qui, quelli che si sono salvati mi aiutano a crederlo. Potremmo non riuscire a fermare tutti i mali del mondo, ma so che come trattiamo l’un l’altro dipende solo da noi. Credo che nonostante tutti i nostri difetti, siamo pieni di forza e di bontà e che le forze che ci dividono non sono così forti come quelle che ci uniscono.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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