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Scuola, ipotesi dad solo per non vaccinati: per Lega e M5s è discriminatoria, scontro con le Regioni

La proposta delle Regioni di alleggerire le regole sulla quarantena in classe per evitare il ritorno alla dad è motivo di scontro nel governo. La questione sarà affrontata in Cdm mercoledì 5 gennaio, in vista del ritorno in classe dopo le feste.
A cura di Annalisa Cangemi
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È scontro nel mondo della scuola e non solo sull'ipotesi di mandare a casa gli studenti non vaccinati, in vista del rientro in classe dopo la pausa natalizia con l'impennata dei casi degli ultimi giorni. Le Regioni hanno proposto di allentare le norme sulla quarantena in classe per garantire il più possibile la scuola in presenza, rinunciando al tracciamento ed evitando il tampone per tutti i compagni di classe nel caso si accerti un positivo, facendo invece scattare la didattica a distanza solo per i non vaccinati con due contagi. Per tutti gli altri, cioè per i vaccinati, sarebbe prevista solo l'autosorveglianza, e potrebbero fare lezione in presenza utilizzando le mascherine FFP2. La questione sarà affrontata il 5 gennaio in Consiglio dei ministri.

In realtà la possibilità di attivare la dad per i non vaccinati con due casi era già prevista dal protocollo del 6 novembre, ma non è stata messa in pratica perché la norma prevedeva un tampone subito e uno dopo cinque giorni per i vaccinati o negativizzati negli ultimi 6 mesi. Questa modalità si è rivelata inapplicabile, perché le Asl non sono riuscite ad assicurare i tamponi nei tempi previsti, a causa del super lavoro delle ultime settimane, e la richiesta delle Regioni ora è quella di prescrivere solo un tampone entro i dieci giorni.

L'idea ha già diviso il governo, e se il ministro dell'Istruzione Bianchi prova a temporeggiare, dicendo che si tratterà in ogni caso di una decisione "collegiale", Lega e M5s hanno già parlato di ipotesi "discriminatoria". Il veto sulla proposta del presidente della Conferenza delle Regioni, Massimiliano Fedriga, l'hanno messo subito il sottosegretario leghista all'Istruzione Rossano Sasso e la sottosegretaria pentastellata Barbara Floridia. Quest'ultima ha sottolineato che "la scuola è il luogo dove si insegna l'inclusione: lasciare alcuni studenti in presenza e altri in dad perché non vaccinati sarebbe davvero grave, oltre che particolarmente difficile da un punto di vista didattico-organizzativo".

Per Sasso dire sì alle Regioni significherebbe "mandare in dad per decreto tre milioni di bambini, visto che i vaccinati sono per ora solo l'8 per cento".

Anche i sindacati contro le Regioni

Problemi di gestione che emergerebbero soprattutto per gli alunni delle elementari, come hanno spiegato anche i sindacati, contrari alla proposta. "Le mezze misure sulla scuola non tengono, lo abbiamo già visto – ha detto Maddalena Gissi, segretaria della Cisl scuola – la situazione pandemica nel Paese ora è tale per cui o si arriva a un lockdown o all'obbligo vaccinale". Secondo Gissi la questione riguarda soprattutto il tipo di insegnamento diversificato che i docenti dovrebbero offrire, distinguendo tra le esigenze di chi è in presenza e di chi segue da casa. Per questo la didattica mista non sarebbe attuabile.

Per Rino Di Meglio, della Gilda, il protocollo sarebbe solo "una foglia di fico. Ritardiamo piuttosto l'apertura delle scuole per fare le vaccinazioni che devono diventare obbligatorie come lo è già per gli insegnanti". Anche la Flc-Cgil continua a premere per l'obbligo vaccinale per tutti: "Imprudente pensare che basti modificare il protocollo sulle quarantene per dire che così abbiamo risolto. Il punto è che un piano B in caso di aumento dei contagi non era previsto. Ora stiamo rincorrendo una situazione in cui ogni Regione rischia di fare da sé. Servono regole nazionali e chiare non basta dire: tutti in presenza", ha detto il segretario Francesco Sinopoli.

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