Scomparsi attraversando il Mediterraneo: sono i migranti i “nuovi desaparecidos”
Da cinque anni Imed Soltani gira per l'Italia e la Tunisia. Con lui porta 504 fotografie di ragazzi tunisini scomparsi durante il loro viaggio verso il nostro paese. Tra questi c'erano anche due dei suoi nipoti. "Dopo la rivoluzione del 2011 c'è stato una grande ondata migratoria verso l'Italia. Questi ragazzi sono partiti e sono spariti", spiega. I genitori degli scomparsi, però, hanno riconosciuto i loro figli in alcune foto e video che sono andati in onda nei telegiornali della televisione italiana. "Questo significa che ci sono delle prove del fatto che alcuni di loro siano arrivati in Italia. E allora le famiglie cercano la verità e si chiedono: dove sono finiti i nostri ragazzi?", aggiunge Imed, che rappresenta i parenti degli scomparsi con l'associazione Terre pour tous, con la quale lotta "per evitare che si ripetano altre morti e altre sparizioni attraversando il Mediterraneo."
Sulle tracce di chi è scomparso c'è anche Kouceila Zerguine, un avvocato algerino che rappresenta il Collettivo dei migranti dispersi in mare, da tempo impegnato nel tentativo di far luce sul destino di centinaia di persone sparite nel nulla nelle acque territoriali algerino-tunisine tra il 2007 e il 2008. In quegli anni, spiega, "c'è stata un'esplosione del fenomeno migratorio con moltissime partenze e centinaia di persone che sono sparite. Da allora abbiamo iniziato a lavorare su questi casi concreti: casi di barche che sono scomparse nel tragitto nel Mediterraneo, ma anche casi di sparizioni forzate, persone arrestate dalle autorità tunisine e delle quali da allora non si sa più nulla. Abbiamo presentato tantissimi dossier, inchieste sia presso il governo algerino, che quello tunisino e italiano, presso le autorità internazionali e le organizzazioni umanitarie ma non abbiamo avuto risposte". Il Collettivo ha presentato anche delle denunce al gruppo di lavoro sulle sparizioni forzate Onu. "Il governo algerino aveva il dovere di aprire un'inchiesta ma non l'ha mai fatto", spiega l'avvocato.
Lunedì mattina i giornali hanno diffuso la notizia di 400 profughi somali partiti dall'Egitto che risulterebbero dispersi in seguito a un naufragio. Se questa circostanza risultasse vera, queste persone entrerebbero a far parte della schiera di quelli che vengono chiamati "i nuovi desaparecidos": gente sparita nel nulla, migranti partiti verso l'Europa, di cui le famiglie non hanno avuto più notizie.
Nel 2014 è nato un comitato, "Giustizia per i nuovi desaparecidos", che ha lanciato un appello per la costituzione di un "tribunale internazionale di opinione che offra alle famiglie dei migranti scomparsi un’opportunità di testimonianza e rappresentanza; contribuisca ad accertare le responsabilità e le omissioni di individui, governi e organismi internazionali e fornisca uno strumento per l’avvio delle azioni avanti agli organi giurisdizionali nazionali, comunitari, europei e internazionali". In modo da "ricostruire la verità, sanzionare i responsabili e rendere giustizia a vittime e famigliari".
Quella delle morti e delle sparizioni nel Mediterraneo, denuncia l'appello, "è una triste sequela di fronte alla quale si rischia l'assuefazione, il facile ricorso a capri espiatori, o a scorciatoie securitarie. Dietro quelle notizie, quei nomi, quei numeri ci sono bambini, donne, uomini con la loro dignità e i loro diritti umani inalienabili". Come Mehrzia Chargi, di origine tunisina, che non ha più notizie del figlio dal 2011, quando è partito per Lampedusa. L'ha visto in televisione, in un'intervista fatta su un pullman in Italia – dove quindi è certa che sia arrivato – ma poi non è riuscita a sapere più nulla.
Tra i promotori del comitato c'è Enrico Calamai, diplomatico che negli anni trascorsi come viceconsole a Buenos Aires durante la dittatura, ha salvato molte persone dandogli accesso all'asilo politico. "I migranti di oggi sono ‘i nuovi desaparecidos', e il riferimento non è retorico e nemmeno polemico, è tecnico e fattuale perché la desaparición è una modalità di sterminio di massa, gestita in maniera che l'opinione pubblica non riesca a prenderne coscienza, o possa almeno dire di non sapere", ha spiegato recentemente Calamai.
"I nuovi desaparecidos sono persone scomparse nel Mediterraneo o arrivate in Italia e poi sparite. Spesso ci sono prove dei loro passaggi, ma non si sa più niente", spiega Lorenzo di CarovaneMigranti, che è "una comunità di persone che si interrogano su cosa sono i flussi migratori e attraversa l'Italia una volta ogni anno e mezzo". Il progetto si ispira alla Caravana Centroamericana che da undici anni cerca gli scomparsi alla frontiera tra Messico e Stati uniti, ma si è allargato a quella che, ricorda Lorenzo, "è la situazione che più ci riguarda da vicino, quella del Mar Mediterraneo". Ma se in Centroamerica le sparizioni sono dovute al narcotraffico, in questo caso le cause sono diverse. Per Imed – che di CarovaneMigranti è un testimone – "è la politica degli stati europei sulla questione migrazioni che non serve a nulla e produce soltanto morti e scomparsi. È una politica che ha violato il libero diritto della circolazione delle persone e le conseguenze sono che andiamo in giro con le foto di gente che non si sa che fine abbia fatto". In generale, prosegue, "le persone sono solidali con i migranti. Sono le politiche che non funzionano. La gente comune non ha questi sentimenti negativi".
Prima che l'Europa "imponesse queste politiche le persone circolavano liberamente: solo nel 1989 ci sono state oltre 30 mila persone che hanno viaggiato nel Mediterraneo", aggiunge l'avvocato Zerguine, secondo cui il problema è che l'approccio europeo "è puramente securitario, di protezione delle frontiere invece dovrebbe dare delle risposte alle cause che spingono i giovani a migrare, interrogarsi su queste". Invece così continuano sbarchi e naufragi, con il rischio, tra l'altro, che le notizie dei morti sugli organi di stampa diventino solo cifre e consuetudine: "Abbiamo a che fare con persone, con famiglie, madri e padri alla ricerca di figli di cui non hanno notizie. Non con cifre".
Imed non ha dubbi sul fatto che "l'unica soluzione è aprire le frontiere. Possono essere regolate in qualche modo, ma le persone devono avere il diritto di circolare. Non sono contrario al fatto che gli stati tutelino le proprie coste e confini, ma allo allo stesso tempo non ci devono essere politiche che colpiscano e che facciano del male alle persone".