Schlein e Meloni in questa tornata elettorale per le Europee si sono viste arrivare. E si sono reciprocamente e consapevolmente scelte come avversarie. È stato praticamente inevitabile per la presidente del Consiglio e leader di Fratelli d'Italia metterci la faccia, come capolista in tutte le circoscrizioni – pur dichiarando di voler esclusivamente attrarre preferenze verso il proprio partito, senza puntare realmente a un posto al Parlamento Ue – dopo che Schlein aveva annunciato la sua di candidatura, con i medesimi fini, come capolista nella circoscrizione Centro e in quella Isole.
"Comunque, nel caso nostro, ci hanno visti arrivare, ma non sono stati in grado di fermarci", è stata la battuta di Meloni ieri sera subito dopo i primi risultati per Fratelli d'Italia, ancora una volta primo partito in Italia ma con una percentuale più alta rispetto a quel 26% delle elezioni politiche del 2022. E il riferimento era chiaramente alla segretaria dem, che l'anno scorso, subito dopo essere stata eletta segretaria, pronunciò l'ormai famosa frase "Anche stavolta non ci avevano visti arrivare", che volutamente ricordava il titolo del libro della storica americana Lisa Levenstein: "They didn't see us coming- La storia nascosta del femminismo negli anni 90".
All'ironia di Meloni di ieri sera, oggi Schlein ha risposto così: "Il messaggio è chiaro: Giorgia, stiamo arrivando", alludendo alla distanza tra Pd e Fdi che con il voto per il Parlamento europeo si è accorciata. E se Fdi è salito al 28,8%, il Pd ha fatto un balzo al 24%, conquistando ben cinque punti percentuali in più rispetto alle Politiche (nel 2022 i dem si fermarono al 19%).
Citazioni e frecciatine a parte, per Giorgia Meloni queste elezioni sono state non solo una conferma per il suo governo, ma anche un ulteriore, qualora ce ne fosse bisogno, rafforzamento della sua leadership all'interno del centrodestra, vista anche la fortissima personalizzazione, con il suo appello ‘scrivete Giorgia, sono una del popolo'. Un trionfo su tutta la linea, visto che per Meloni ci sono state 2,3 milioni di preferenze, ed è risultata di gran lunga la candidata più votata in assoluto, vincendo anche il duello a distanza con Elly Schlein.
La segretaria dem infatti correva in due delle cinque circoscrizioni in cui la premier era capolista: al Centro si sono registrate 458.603 preferenze per Meloni e ‘solo' 121.818 per la leader dem; nelle Isole 242.280 voti sono andati alla premier, 84.719 alla segretaria Pd. In totale Schlein porta a casa più di 206mila voti, un ottimo risultato anche se non un vero e proprio exploit, visto che nel caso del Pd i veri trascinatori, soprattutto al Sud, sono stati gli amministratori locali.
Da queste cifre comunque appare evidente ormai la forte polarizzazione dello scontro tra le due leader nel panorama politico italiano, diventato ormai un sistema "bipolare", come l'ha definito ieri la stessa presidente del Consiglio: "È una buona notizia – ha detto commentando la vittoria – perché in un sistema bipolare ci sono visioni del mondo distinte e contrapposte che si confrontano e sulle quali si chiede ai cittadini da che parte stare. Oggi i cittadini ci hanno detto da che parte stanno, stanno dalla nostra parte".
Candidarsi senza andare in Ue un peccato veniale per Schlein e Meloni
Ma a cosa si deve questa forte polarizzazione del voto? È una conseguenza diretta della presenza dei nomi di Schlein e Meloni in lista? Sì e no. È senza dubbio difficile stabilire quale sia il peso esatto della candidatura delle due leader e della scelta di ‘metterci la faccia' in questa campagna elettorale. In parte si è rivelata una strategia vincente, perché queste elezioni, dalla maggior parte dell'elettorato, non sono state percepite come un voto per Strasburgo o per Bruxelles, ma come una sorta di ‘termometro' del governo, una specie di Midterm Elections, per confermare o eventualmente punire l'esecutivo in carica. Per questo correre per l'8 e 9 giugno, senza avere l'obiettivo di un seggio al Parlamento europeo, è stato considerato un peccato veniale, perdonabile. Nessuna presa in giro dei cittadini insomma, come tuonavano Giuseppe Conte e Matteo Salvini, che per calcolo probabilmente, più che per coerenza, hanno dichiarato fin da subito che non sarebbero stati in lista.
Quella polarizzazione iniziata alle elezioni politiche del 2022, ma allora non perfettamente riuscita, è oggi un dato di fatto: la metà degli elettori, uno su due, ha scelto di votare o Pd o Fdi. E Meloni e Schlein lo hanno previsto e hanno saputo sfruttare al meglio il campo, pur senza confrontarsi in un vero faccia a faccia, saltato l'appuntamento da Vespa in tv.
È possibile che in una certa misura la candidatura di Meloni abbia portato più voti alla sua lista, magari perché è plausibile che elettori di Lega e Forza Italia, considerando la presidente del Consiglio a pieno titolo la leader indiscussa del centrodestra, abbiano deciso di votare per lei. Lo stesso sicuramente non è accaduto a Schlein, dato che per esempio gli elettori del M5s, pur non avendo votato per il Movimento, non sono riusciti a vedere in lei una leader del centrosinistra, che in questo momento non è una coalizione al pari del centrodestra.
Ma in generale non è stato decisivo il fatto che sulle schede si potesse indicare il nome di Schlein e Meloni. Ad aver polarizzato il voto non sono state le due figure, ma è stata la natura stessa delle Europee: in questo tipo di elezioni, con il sistema proporzionale, non ci sono coalizioni, e quindi il Paese si è semplicemente diviso. In pratica chi era a favore del governo ha voluto dare un segnale di approvazione a Meloni, mentre chi voleva bocciare l'esecutivo ha votato senza pensarci troppo il Pd.