video suggerito
video suggerito
Opinioni

Sblocca Italia, Jobs Act e “salva Alfano”: la pazienza infinita della minoranza Pd

La minoranza del Partito Democratico vive una fase particolarmente delicata: finito il tempo dei tatticismi e delle dichiarazioni a mezza bocca, ora è (forse) il momento dello scontro in campo aperto con il Governo. Sul Jobs Act, ovviamente.
452 CONDIVISIONI
Immagine

Lo diciamo da mesi: il vero banco di prova per il Governo Renzi sarà il doppio binario della politica economica e della riforma del lavoro, più che il comparto delle riforme costituzionali e la nuova legge elettorale. Su questi ultimi punti sembra scontata in effetti la tenuta del (nuovo) patto fra il Presidente del Consiglio e il leader di Forza Italia, ma soprattutto (come peraltro qualcuno sosteneva fin  dall’inizio) sembra passato in secondo piano il carattere di “urgenza”, tanto che i provvedimenti riposano beatamente in Parlamento. Il discorso è invece molto diverso per quel che concerne le misure in campo economico, sia per la loro diversa natura (tempistiche, complessità) che per la percezione che ne ha l’opinione pubblica.

Se appare praticamente riuscita la presentazione della legge di stabilità come “la manovra che taglia le tasse e che mette in riga le istituzioni europee” (operazione portata a casa anche grazie al modo in cui i mezzi di informazione hanno raccontato la manovra prima e poi il vertice europeo successivo), molto più arduo e pieno di insidie si è rivelato il “piano” sulla riforma del lavoro. L’idea di presentare agli italiani il cambiamento in corso come “la rottamazione dei vecchi privilegi” e l’ampliamento delle tutele ad intere generazioni escluse (la rivisitazione del dualismo “giovani vs vecchi” in chiave “tutelati vs precari”, insomma) è infatti stata recepita con una certa freddezza dall’opinione pubblica, per una serie di motivi.

In primo luogo c’è una debolezza intrinseca della propaganda renziana, legata all’inconsistenza e alla vaghezza di alcuni aspetti essenziali della riforma (risorse – quali?, tutele – quali?, tempi – quali?), nonché al legame tra le due cose (ampliamento tutele e revisione delle stesse per il resto dei lavoratori) e soprattutto al pregresso del Governo, con il decreto Poletti che sembrava aver sancito la precarietà eterna dei lavoratori italiani. Poi c’è la difficoltà nello spiegare agli italiani come queste misure possano “creare lavoro”, soprattutto dopo averlo negato per settimane, mesi, forse anni. E, soprattutto, ci sono gli “eventi imprevisti”, che hanno complicato il piano renziano, proprio sul piano della “comunicazione” (e dunque della ricerca del consenso nel Paese, la vera ossessione di Matteo Renzi). C’è il Davide Serra di turno che propone modifiche al diritto di sciopero; c’è la polizia che manganella gli operai di Terni, Alfano che ne difende l’operato e la maggioranza che ne ratifica la correttezza; c’è la mobilitazione delle forze sindacali, forte, partecipata; c’è infine il fallimento conclamato dei primi tentativi del Governo di agire concretamente sulla disoccupazione (il caso garanzia Giovani è emblematico).

Parallelamente c’è da giocare la partita in Aula. E il Governo, malgrado le rassicurazioni di Poletti, sembra intenzionato a proseguire forzando la mano, con l’apposizione della questione di fiducia alla Camera (come peraltro fatto al Senato), incurante dello strappo politico rappresentato dall’approvazione con la fiducia di una legge delega (già di per sé molto vaga) su una materia così delicata. Nulla di nuovo, si dirà, considerando che si tratterebbe della ventinovesima fiducia in 7 mesi e mezzo di Governo. Ma un problema enorme dal punto di vista della dialettica interna al partito, come prova a spiegare Civati:

Questo significa, in due parole, che prima il governo si sostituisce alle Camere nel fare le leggi e poi, al momento in cui queste devono controllare se quella sostituzione aveva un adeguato fondamento costituzionale e era condivisibile nel merito (visto che sono poi i parlamentari a dover rispondere agli elettori), gli impone di votare il testo così com’è, minacciandolo altrimenti di andarsene. Una minaccia rafforzata dal falso mito dell’assenza di alternative e dell’ultima spiaggia (già visti, peraltro, con Monti e Letta).

E qui si torna al punto centrale: fino a dove può spingersi Renzi? Con le parti sociali si è capito: dopo aver digerito con pochi mal di pancia il decreto Poletti, la mobilitazione è partita sulla riforma degli ammortizzatori sociali, sulla riforma dei contratti di ingresso, sulla (possibilità di) modifica alla legge sulla rappresentanza e sui timidi tentativi di introdurre il salario minimo (che è in sostanza un attacco alla contrattazione collettiva). Basta questo per spingere alla “diserzione” anche la minoranza del Partito Democratico? Per il momento parrebbe di no, anche se il malumore cresce (soprattutto al Senato, dove peraltro il Jobs Act è passato solo con qualche “assenza tattica”), considerando i compromessi continui cui i numeri costringono l'esecutivo (la difesa d'ufficio di Alfano nell'Aula della Camera da parte dei relatori Pd è stata francamente imbarazzante). 

Ma la questione è aperta e investe anche il ruolo della minoranza in un partito che si avvia ad "una lunga fase di predominanza" e a guidare praticamente indisturbato il Paese (della debolezza strutturale delle opposizioni si potrebbe discutere a lungo). Il 40,8% delle Europee ha sancito in sostanza l'autosufficienza di Renzi rispetto alle vecchie modalità di "creazione del consenso" e soprattutto ha legato in maniera drastica il destino del partito a quello del Governo: in questa cornice qual è il ruolo di una minoranza che, a differenza del passato, non è rappresentata nell'esecutivo? Forse quello di sterile opposizione nel partito, limitatamente alla discussione preliminare (se e quando avviene) dei provvedimenti negli organismi dirigenti del partito? O forse quello di riserva per gli ultimi giapponesi che non hanno compreso qual è la destinazione ultima del progetto renziano?

452 CONDIVISIONI
Immagine
A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views