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Sanità, allarme di Gimbe: “Milioni di persone non possono pagarsi le cure e il governo taglia i fondi”

Nel 2023, circa 4,5 milioni di persone hanno rinunciato a cure mediche di cui avevano bisogno; oltre la metà lo ha fatto per motivi economici. Le famiglie devono pagare sempre di più per la sanità, e il governo Meloni – in linea con i precedenti – progetta di continuare a non finanziare abbastanza il settore. Lo denuncia la fondazione Gimbe nel suo nuovo rapporto annuale.
A cura di Luca Pons
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"Oggi la vera emergenza del Paese è il Servizio sanitario nazionale". Questo è il riassunto nel nuovo rapporto annuale della fondazione Gimbe, che da tempo monitora la gestione pubblica della sanità in Italia. I dati, relativi al 2023, parlano chiaro: la spesa sanitaria a carico delle famiglie è aumentata moltissimo, al punto che quasi 2,5 milioni di persone hanno rinunciato alle cure per motivi economici (600mila in più rispetto all'anno prima). Nel frattempo, i fondi pubblici per il settore non sono stati abbastanza, e i piani del governo Meloni mostrano che l'intenzione nei prossimi anni è di seguire la stessa linea: risorse per la sanità in aumento, sulla carta, ma mai abbastanza per migliorare veramente lo stato delle cose.

Il rischio è di "perdere il Ssn", ha detto Nino Cartabellotta, presidente della fondazione Gimbe, che poche settimane fa aveva anticipato il quadro della situazione a Fanpage.it. Questo significherebbe "non solo compromettere la salute delle persone, ma soprattutto mortificarne la dignità". Perciò la fondazione ha aggiornato il suo Piano di rilancio del Ssn, chiedendo un "nuovo patto politico e sociale, che superi divisioni ideologiche e avvicendamenti dei governi".

Quante famiglie non possono permettersi le cure in Italia

Per quanto riguarda le famiglie italiane, nel 2023 la loro spesa per la sanità è aumentata di oltre quattro miliardi di euro. O tramite spese dirette (3,8 miliardi) oppure con fondi sanitari e assicurazioni (553 milioni di euro), mentre la spesa pubblica è rimasta sostanzialmente identica al 2022. La spesa che le famiglie devono sostenere di tasca era aumentata dell'1,6% nel 2021 e 2022, mentre nel 2023 ha fatto un salto del 10,3%.

Di fatto, "le persone sono costrette a pagare di tasca propria un numero crescente di prestazioni sanitarie", ha spiegato Cartabellotta. La situazione è "in continuo peggioramento", e la possibilità di avere delle cure è "sempre più legata alla possibilità di sostenere personalmente le spese o di disporre di un fondo sanitario o una polizza assicurativa". Ma anche queste assicurazioni "non potranno mai garantire nemmeno ai più abbienti una copertura totale come quella offerta dal Ssn".

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Peraltro, si tratta di stime incomplete perché in molti casi scatta direttamente la rinuncia alle cure. Circa 4,48 milioni di persone in Italia hanno rinunciato a visite specialistiche o esami diagnostici, anche se ne avevano bisogno. Tra i motivi le lunghe liste d'attesa e la difficoltà di raggiungere le strutture sanitarie. Ma, in oltre la metà dei casi (2,5 milioni di persone) il motivo principale è stato economico. Si parla del 4,2% della popolazione nazionale.

Perché mancano i fondi pubblici e cosa vuole fare il governo Meloni

Se il peso sulle famiglie è così forte è anche perché i soldi pubblici non si sono stati sufficienti. E non è un fenomeno recente: "La grave crisi di sostenibilità del Ssn è frutto anzitutto del definanziamento attuato negli ultimi 15 anni da tutti i governi, che hanno sempre visto nella spesa sanitaria un costo da tagliare ripetutamente e non una priorità su cui investire in maniera costante". In molti casi, per Cartabellotta, gli esecutivi hanno fatto finta di non vedere che "qualche decina di euro in più in busta paga non compensa certo le centinaia di euro da sborsare per un accertamento diagnostico o una visita specialistica".

Oggi la spesa sanitaria in Italia è più bassa di 889 euro per cittadino rispetto alla media dei Paesi europei dell'Ocse. Seguendo questo criterio, servirebbero 52,4 miliardi di euro per colmare la differenza.

Secondo l'analisi di Gimbe, dal 2010 al 2019 (prima della pandemia), la sanità ha ‘perso' 37 miliardi di euro, che si sia trattato di tagli per sanare i conti pubblici o di finanziamenti più bassi rispetto a quelli che erano stati programmati. Dal 2020 al 2022, invece, il Fabbisogno sanitario nazionale (l'insieme dei fondi pubblici stanziati per la sanità) è aumentato parecchio, ma tutta la spesa in più è servita per gestire la pandemia, e non ha migliorato gli altri aspetti del Ssn. Infine, anche nel 2023-2024 c'è stato un salto nei fondi, ma sono stati usati prima per fare fronte al caro-bollette, poi per il (tardivo) rinnovo dei contratti collettivi.

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Insomma, anche quanto i fondi sono aumentati, non è stato abbastanza. E per il futuro, il governo Meloni nel suo Piano strutturale di bilancio ha previsto che la spesa sanitaria, in rapporto al Pil, scenderà: dal 6,3% di quest'anno e il prossimo, al 6,2% nel 2026-2027. Niente da fare, quindi, per i propositi del ministro della Salute Orazio Schillaci che aveva detto di puntare al 7% del Pil. Si conferma, quindi, il "continuo e progressivo definanziamento del SSN che non tiene conto dell’emergenza sanità e prosegue ostinatamente nella stessa direzione dei governi precedenti".

La crisi del personale sanitario

A tutto questo si aggiunge la crisi del personale sanitario. Non solo mancano i fondi, ma c'è anche una "crescente frustrazione e disaffezione" per la sanità pubblica: "Turni massacranti, burnout, basse retribuzioni, prospettive di carriera limitate ed escalation dei casi di violenza" sono tra i motivi. Il numero di medici oggi è ancora in linea con la media Ocse, ma è in calo, e ci sono già carenze in alcune specialità poco attraenti (Pronto soccorso, discipline di laboratorio e altre ancora).

Soprattutto, mancano infermieri. Ce ne sono 6,5 ogni mille abitanti, mentre la media Ocse è di 9,8. Una situazione che non sembra destinata a migliorare, considerando che nel 2022 ci sono stati pochi laureati in Scienze infermieristiche (16,4 ogni 100mila abitanti, quasi un terzo rispetto ai Paesi Ocse), e che per l'anno prossimo le domande di iscrizione sono state praticamente uguali al numero di posti disponibili (21.250 candidati per 20.435 posti).

Le disuguaglianze Nord-Sud aumenteranno con l'Autonomia differenziata

Infine, il rapporto sottolinea le forti differenze che restano tra Nord e Sud del Paese. Guardando ai Livelli essenziali di assistenza, solo 13 Regioni sono state ‘promosse' nel 2022 e solamente due di queste erano nel Meridione: Puglia e Basilicata, comunque in "posizioni di coda". Cartabellotta ha parlato di una "vera e propria frattura strutturale Nord-Sud". Senza contare gli effetti dell'Autonomia differenziata: "Affonderà definitivamente la sanità del Mezzogiorno, assestando il colpo di grazia al SSN e innescando un disastro sanitario, economico e sociale senza precedenti".

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Già oggi, molte presone residenti al Sud devono spostarsi per ricevere cure migliori. Nei dieci anni tra il 2012 e il 2021, le Regioni meridionali hanno registrato un saldo negativo di quasi 11 miliardi di euro: soldi spesi dalle famiglie per curarsi, non nel proprio territorio, ma in altre Regioni. Un trend che ha "effetti devastanti non solo sulle famiglie, ma anche sui bilanci delle Regioni". E, infine, c'è il capitolo Pnrr. I fondi europei sono "grande opportunità, che rischia di essere vanificata" se non c'è un "piano di rafforzamento complessivo della sanità pubblica". E, guardando alla situazione attuale, le prime disuguaglianze stanno emergendo già nell'attuazione del Pnrr. Sempre a sfavore delle Regioni del Sud.

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