A Matteo Salvini non manca certamente una buona dose di autoironia, come dimostrato in occasione dello spettacolo regalato a Pontirolo. Le immagini del leader leghista che balla sulle note di “Andiamo a comandare” rimbalzano in queste ore su media e social network, così come era accaduto per le foto, rivedibilissime, al Papeete Beach in compagnia di Toti. Del resto, la linea comunicativa di Salvini è tutta centrata sul concetto di autenticità, sulle reazioni spontanee, sui gesti quotidiani. Sulla sincerità che prende il posto della “verità tradizionale”, come direbbe qualcuno.
La questione centrale resta però sempre la stessa: qual è e dove può arrivare il progetto politico di Matteo Salvini. “Il nostro slogan sarà ‘con la ruspa in tangenziale andiamo a comandare'”, dice dal palco leghista, cavalcando il tormentone dell'estate. Per comandare, però, servono prima di tutto gli alleati. E al momento la sfida del “capitano” è quella dell’egemonia nel campo del centrodestra, contro un nuovo rivale e un nuovo progetto politico. Contro Stefano Parisi e la nuova casa dei moderati, insomma.
Semplificando, da una parte abbiamo la destra “lepenista” (Lega – Fdi, pur in una fase di "riflessione" – altre formazioni di destra – comitati civici pronti a mobilitarsi), dall’altra la “nuvola moderata” (Forza Italia e satelliti – Passera e soci – centristi “delusi” e in uscita dalla maggioranza). Banalizzando ancora di più, populisti versus conservatori.
Il dualismo è fotografato bene da Giuliano Ferrara, che prova a disegnare il progetto di Parisi: “Una coalizione liberale e popolare vuol dire sostituire la sinistra democratica al governo del paese, non abbattere alla cieca il suo governo e i suoi simboli alleandosi con la peggiore demagogia nazionalista, antieuropea, etnicista e una punta razzista. Un’alternativa radicale al frontismo caciarone tributario del peggior populismo mediatico e del confusionismo salviniano”. Se questo progetto andasse in porto, è chiaro che il Carroccio potrebbe aspirare al massimo a un ruolo marginale, come avvenuto nel ventennio berlusconiano. Tant'è vero che Salvini ha ribadito più volte la sua indisponibilità a ripetere esperimenti del passato: "Se si parte dal dialogo con Alfano per me la partita è chiusa”.
Ci sono però anche i pontieri, quelli che considerano possibile un progetto diverso. Il Governatore della Liguria Toti, ad esempio, ma anche il consigliere economico di Salvini Siri che, in una lettera a La Stampa, ha provato a trovare un terreno comune fra i due, proprio nel capo delle politiche economiche e fiscali, a cominciare dalla flat tax, cavallo di battaglia salviniano che potrebbe incrociarsi con la piattaforma storica di Forza Italia.
Questo tentativo di Salvini è particolarmente interessante, perché restituisce la difficoltà nell'avere a che fare con un "qualcosa" di non ben definito. Il progetto di Parisi è in effetti ancora confuso: il modello Milano stenta a decollare per le resistenze interne a Forza Italia, il dialogo con gli alleati potenziali si arena ogni qual volta si parla di posti e posizioni di comando, pesa l'incognita del "che fare" dopo il referendum (soprattutto se vincesse il No), sulla piattaforma politica pesa il macigno "Europa" (la Meloni è stata tranchant: "Sembra che si rifaccia al programma dei repubblicani americani. Però vorrei sapere cosa c’entrino Alfano e Verdini con Donald Trump") e, infine, non è chiarissimo il ruolo che Berlusconi riserverà per sé, per le sue aziende e la sua famiglia.
La partita è aperta, al punto che in molti immaginano addirittura un punto di contatto fra i due progetti, magari proprio nella figura di Toti. Il modello ligure, più che quello milanese o addirittura romano, insomma.
Ma Salvini sarebbe davvero disponibile a recitare il ruolo della comparsa? La sensazione è che il leader leghista si senta maturo per un ruolo di primissimo piano e che la lepenizzazione della destra italiana sia a uno stadio troppo avanzato per immaginare radicali sterzate. Molto però dipenderà dal risultato del referendum sulla riforma della Costituzione e, nel caso in cui vincesse il no, dalla strada che i parlamentari di Forza Italia (e Parisi con loro) decideranno di prendere. Di fronte a un Nazareno bis, insomma, Salvini strapperebbe definitivamente il legame con i centristi e avrebbe campo libero a destra. A quel punto, con un parlamento impantanato nella discussione della nuova legge elettorale e un esecutivo debole e sfiduciato, la partita sul terreno del consenso sarebbe col M5S. Se vincesse il sì, invece, la sfida a Renzi e l'approdo al turno di ballottaggio potrebbero richiedere l'ennesimo compromesso. E non sarebbe solo una questione di leadership.