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Salvini, la legalità la vuoi solo nei campi rom? O anche da Belsito?

Matteo Salvini al campo nomadi di Bologna fa il difensore della legalità e quando si tratta di costituirsi parte civile sullo scandalo dei fondi del Carroccio che travolse Bossi e la sua famiglia rinuncia ad andare fino in fondo. Perché?
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La provocazione in politica è un atto piuttosto comune, quindi è un fesso chi ci casca e corre dietro al provocatore. Detto ciò, rendiamoci conto di quel che è successo oggi. Il protagonista è Matteo Salvini, leader politico ambizioso e oggettivamente capace (anche se come nota Adriano Biondi, soffia sul fuoco dell'indignazione populista), erede del disastro di Umberto Bossi & co. capace di portare la Lega Nord ancora più a destra con le sue campagne anti-immigrati. Egli, ieri, si è recato a Bologna in un campo nomadi che ospita per lo più romanì di etnia sinti dove già era altissima la tensione da giorni, in una città in cui si erano già verificati battibecchi coi leghisti, in un posto in cui ad attenderlo c'erano già pronti manifestanti agguerriti. Ha portato a casa un parabrezza sfondato e tanta paura. Tutte violenze da condannare, sia chiaro. Ma può Salvini dirsi vittima al cento per cento? Io sostengo di no. Proprio ieri la sua Lega Nord ha rinunciato a chiedere i danni all'ex tesoriere Francesco Belsito nei processi per la scandalosa gestione dei fondi del Carroccio, finiti in Tanzania e usati pure per le spese personali del ‘cerchio magico' dei Bossi. Ma come, Salvini: la legalità vale solo per i campi rom? Quando si tratta di andare a fondo alle vicenda sui fatti che riguardano la Lega si fischietta e si fa finta di nulla?

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Giornalista professionista, capo cronaca Napoli a Fanpage.it. Insegna Etica e deontologia del giornalismo alla LUMSA. È autore del libro "Se potessi, ti regalerei Napoli" (Rizzoli). Ha una newsletter dal titolo "Saluti da Napoli". Ha vinto il Premio giornalistico Giancarlo Siani nel 2007 e i premi Paolo Giuntella e Marcello Torre nel 2012.
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