La prossima mossa del ministro dell'Interno Matteo Salvini sul fronte migranti sarà quella di tagliare il budget per l'accoglienza. Nel mirino i famosi "35 euro al giorno", al centro della propaganda leghista degli ultimi anni che vuole rifugiati e richiedenti asilo vivere "una pacchia" negli hotel a spese dei contribuenti. La realtà – come abbiamo raccontato qui – è più complessa. I soldi in questione ovviamente non vengono erogati direttamente ai beneficiari (cui spetta solo il pocket money, di meno di 3 euro al giorno), ma impiegati sia per pagare le strutture fisiche che per finanziare i corsi di lingua italiana, i corsi di formazione, l'orientamento sanitario e legale, insomma tutte quelle azioni che servono all'integrazione nel tessuto della nostra società. Fanpage.it è in grado di anticipare che i tagli allo studio, che saranno operativi nel giro di poche settimane, porteranno la cifra da 35 a 28 euro al giorno per ogni avente diritto. A confermarlo alcune fonti interne alla Lega, ma anche il mondo della cooperazione coinvolto nel sistema d'accoglienza. I tagli (almeno al momento), riguarderanno solo i Cas, ovvero le strutture di cui sono responsabili le prefetture e direttamente il ministero dell'Interno, e non il sistema Sprar.
Salvini e la Lega in un primo momento puntavano a tagliare il budget fino a 25 euro al giorno, ma un primo confronto informale con il mondo della cooperazione ha consigliato di salire la cifra fino a 28 euro, per evitare che le rimostranze degli enti gestori potessero mandare deserti i bandi. La campagna di comunicazione a sostegno di questa linea verterà sul confronto con gli altri Paesi della Ue e in particolare sulla Francia: oltralpe la spesa per ogni richiedente asilo o rifugiato inserito nel sistema di accoglienza è attorno ai 25 euro, perché l'Italia dovrebbe spendere di più? L'idea è di comunicare così l'attacco da parte dell'esecutivo gialloverde al così detto "business dell'accoglienza".
La realtà anche in questo è più complessa: in Francia i servizi destinati ai cittadini inseriti nel circuito dell'accoglienza pesano infatti sulle strutture già esistenti del sistema di welfare, mentre qui da noi sono invece appaltati agli enti gestori, come ad esempio i corsi di lingua. In più è previsto che i richiedenti asilo non possano lavorare per 9 mesi, quindi gli viene versato un assegno di sostegno: per i single sono 550,93 euro al mese, per una coppia 826,40 euro, con un supplemento per ogni figlio a carico a seconda delle condizioni dei genitori. Niente di tutto ciò è previsto qui da noi.
E se c'è chi lucra sull'accoglienza, sono tante le strutture del terzo settore che svolgono il loro lavoro senza sostanzialmente margini di profitto, impiegando l'intera cifra dei progetti per lo svolgimento dei servizi e per pagare le figure professionali impegnate nei centri, nell'orientamento e nelle varie azioni previste dai bandi del ministero. Ma soprattutto, invece di grandi centri collettivi, che provocano spesso tensioni sui territori periferici dove sono insediati, c'è chi propone un'accoglienza più "costosa" per chi la gestisce ma sicuramente di minore impatto e che punta all'autonomia e non alla medicalizzazione dei migranti. È la così detta accoglienza diffusa, in appartamento, con un impatto sostanzialmente zero nelle città, invisibile alle sirene della propaganda dei gruppi dell'estrema destra e della Lega. Un modello insostenibile con i tagli immaginati da Salvini, che come effetto non potranno che portare consensi e galvanizzare l'elettorato del governo, mostrando di punire il "business dell'accoglienza", ma peggiorando le condizioni di integrazione esasperando ulteriormente la "percezione" di insicurezza e pericolo.