Premessa doverosa: le inchieste della magistratura sono inchieste, non condanne. E come tali vanno trattate.
Però, fossimo in Giorgia Meloni, qualche domanda su come è stato composto il governo, e su chi ha riempito le caselle da ministro, cominceremmo a farcela. Perché va bene assecondare le competenze specifiche, ci mancherebbe, ma i ministri e i sottosegretari del suo governo inguaiati dai loro stessi conflitti d’interesse – o presunti tali – cominciano a essere troppi.
Cominciamo dalla fine, e da Matteo Salvini. Ministro dei trasporti e delle infrastrutture, fidanzato con Francesca Verdini, figlia di Denis e sorella di Tommaso, rispettivamente socio di fatto (secondo i magistrati) e capo della Inver srl, società di consulenza e lobbying attiva nel ramo delle infrastrutture, agli arresti da ieri in relazione a un’indagine su illeciti in commesse Anas in cui si ipotizza anche il reato di corruzione. Domanda: tra tutti i ministeri che potevano essere assegnati al segretario leghista, proprio questo?
Andiamo avanti con Guido Crosetto, amico personale di Giorgia Meloni e co-fondatore di Fratelli d’Italia, passato dalla presidenza dell’Aiad, l’associazione confindustriale dei produttori d’armi al ruolo di ministro della difesa. Va rilevato che lo stesso Crosetto ha più volte rigettato la tesi che vi sia conflitto d’interessi tra la sua precedente attività di imprenditore, consulente e advisor nell’ambito di un settore che ha come principale committente il ministero di cui è oggi alla guida, affermando di aver lasciato ogni incarico e ceduto ogni impresa. Tutto ok, parrebbe. Però qualche dubbio sull’opportunità politica della sua nomina è comunque legittimo.
Proseguiamo con Daniela Santanché, storica imprenditrice nel settore del turismo ed ex socia di Flavio Briatore con lo stabilimento balneare Twiga di Forte dei Marmi, nominata ministro del turismo. Ex, dicevamo: perché anche in questo caso, le quote risultano vendute prima della nomina, al compagno della Santanché stessa e a Flavio Briatore, cosa che ha fatto alzare più di un sopracciglio. Ma al netto di questa compravendita, anche in questo caso, rimane sul tappeto una questione di opportunità grande come una casa.
Buon ultimo, tocca a Vittorio Sgarbi, sottosegretario alla cultura, messo sotto tiro dall’Antitrust per un possibile, ennesimo, conflitto d’interessi tra il suo ruolo politico ela sua attività di consulente, critico e conferenziere d’arte, lautamente retribuito. Attività questa che si aggiunge a quella della compravendita di opere d’arte, in cui Sgarbi risulta da sempre essere molto attivo. Anche in questo caso, al netto della certificazione di un conflitto d’interesse a norma di legge, emerge l’ennesimo problema di opportunità politica. Perché proprio Sgarbi, perché proprio lì?
Certo, direte voi: Crosetto, Santanché e Sgarbi, forse un po’ meno Salvini, sono esperti nei loro settori, e per questo ha senso vi operino in qualità di ministri. Allo stesso modo, tuttavia, le inchieste giornalistiche e della magistratura sono li a certificare i guai che simili scelte possono arrecare all’esecutivo, la sua credibilità e la fiducia sul fatto che ognuno di essi stia perseguendo, con le sue azioni, l’interesse pubblico anziché un’interesse di parte.
E in mezzo a tutte le tempeste che le sono piovute in testa, questa è una grana che Meloni si è andata a cercare da sola.