Il saluto romano è reato solo quando c’è un pericolo di ordine pubblico, dice il pg della Cassazione
Il saluto romano è apologia del fascismo solo nel momento in cui pone un rischio per l'ordine pubblico. Ad affermarlo è il procuratore generale della Corte di Cassazione, Pietro Gaeta. "Il saluto fascista rientra nel perimetro punitivo della "legge Mancino" quando realizza un pericolo concreto per l'ordine pubblico", ha scandito davanti alle Sezioni Unite, chiamate ad esprimere un parere sui ricorsi presentati da alcuni attivisti di estrema destra, che diversi anni fa avevano fatto il saluto romano nel corso di una commemorazione a Milano, ed erano stati per questo imputati.
Gaeta si è espresso anche sui fatti dello scorso 7 gennaio, precisando che "Acca Larentia con 5 mila persone è una cosa diversa di quattro nostalgici che si vedono davanti ad una lapide di un cimitero di provincia ed uno di loro alza il braccio". Il pg ha poi ribadito: "Bisogna distinguere la finalità commemorativa con il potenziale pericolo per l'ordine pubblico. La nostra democrazia giudiziaria è forte e sa distinguere. È ovvio che il saluto fascista sia una offesa alla sensibilità individuale. Diventa reato quando realizza un pericolo concreto per l'ordine pubblico. Non possiamo avere sentenze a macchia di leopardo in cui lo stesso gruppo viene assolto da un tribunale e condannato da un altro".
Il parere delle Sezioni Unite atteso nel prossimo futuro ha proprio l'obiettivo di fare chiarezza su uno dei temi giuridici più complessi. Negli anni sono state emesse diverse sentenze a riguardo, alcune delle quali in contrasto tra loro. In primo luogo le Sezioni Unite dovranno stabilire quale legge vada applicata a seconda del caso, cioè se la legge Scelba o la legge Mancino. E poi si dovrà appunto stabilire se il gesto del saluto romano comporti un pericolo concreto – legato appunto all'ordine pubblico – o meno.
Nel caso specifico in cui è stato fatto ricorso alle Sezioni Unite, gli imputati di estrema desta erano stati assolti in primo grado e condannati poi in appello, proprio in quanto i giudici si erano appellati a leggi diverse: se in primo grado era stata contestata la legge Scelba, che persegue chi cerca di ricostruire il partito fascista, in appello i giudici si erano invece appellati alla legge Mancino.