Salario minimo, chi ci guadagna di più e cosa succede ai Ccnl con la proposta di Pd, M5s e Azione
Le opposizioni hanno trovato il tema su cui costruire la loro prima proposta unitaria: il salario minimo a 9 euro l'ora. Negli scorsi giorni è arrivato il testo del ddl definitivo. Lo hanno firmato Pd, Movimento 5 stelle e Azione, ma anche Alleanza Verdi-Sinistra e +Europa. La proposta, che ha già incontrato il no preventivo del governo Meloni, prevederebbe di trovare i contratti collettivi più rappresentativi per ogni categoria, applicare i minimi di quei contratti a tutti i lavoratori del settore e obbligare comunque tutti, a prescindere dal contratto collettivo, paghino un minimo di 9 euro l'ora. A beneficiarne di più sarebbero soprattutto giovani e donne, mentre tra i Ccnl sparirebbero i cosiddetti contratti "pirata".
Chi beneficia del salario minimo: una lavoratrice su quattro il 38% dei giovani
I numeri sull'impatto di un salario minimo a 9 euro all'ora li ha dati, la scorsa settimana, il professore ordinario di Diritto del lavoro Marco Barbieri. Intervenendo alla Camera insieme ad altri esperti del campo, Barbieri ha evidenziato che in Italia ci sono "ci sono 4.578.535 lavoratori e lavoratrici che guadagnano meno di 9 euro lordi l'ora". In questa fascia rientrano "i più del 90% dei lavoratori domestici, il 35,1% di chi lavora in agricoltura e il 26,2% dei dipendenti delle imprese private". E, in particolare, "il 38% delle persone con meno di 35 anni e il 26% delle lavoratrici".
È evidente, quindi, chi ci guadagnerebbe con l'introduzione di un salario minimo: si parla di giovani under 35 (quasi quattro su dieci) e di donne, una su quattro tra quelle che lavorano. E non sarebbero coperti solo i dipendenti ‘veri e propri'. Come è noto, infatti, c'è un ampio settore del mondo del lavoro italiano composto dai cosiddetti "parasubordinati" – cioè la via di mezzo tra gli autonomi e i dipendenti – e anche dagli stessi autonomi. La proposta di salario minimo si estenderebbe anche a loro: così comprenderebbe anche, per esempio, i rider e chi ha un contratto di co.co.co.
Contratti collettivi, addio agli accordi "pirata"
L'altro effetto della proposta di salario minimo presentata dalle opposizioni sarebbe quello di cambiare decisamente il panorama dei contratti collettivi (Ccnl) in Italia. Negli ultimi dieci anni il numero di Ccnl è raddoppiato, come aveva spiegato qualche mese fa la Cgil a Fanpage.it. Oggi ce ne sono 966 in tutto, di cui 832 che riguardano almeno un lavoratore.
La grande maggioranza di questi però copre meno di 500 lavoratori ed è firmata da sindacati poco rappresentativi: si tratta dei cosiddetti contratti "pirata", che nella maggior parte dei casi offrono condizioni peggiori e salari più bassi rispetto ai loro corrispettivi firmati dai sindacati principali. Una parte dei contratti (208 in tutto) è firmata invece dai sindacati confederali (Cgil, Cisl e Uil) e copre la grande maggioranza dei lavoratori. In Italia, più di quattro dipendenti su cinque rientrano in un Ccnl.
Il ddl dell'opposizione prevede di scegliere per ogni settore il contratto collettivo più rappresentativo ed estendere la sua paga minima a tutti i lavoratori di quel settore, a meno che non ci siano già condizioni più favorevoli. Certo, un Ccnl firmato dai sindacati confederali non è garanzia di un salario dignitoso: ne è un esempio il contratto della vigilanza privata, che prevede una paga di cinque euro all'ora. In questo caso, però, scatterebbe per legge la soglia minima di 9 euro a prescindere dalle previsioni del contratto.
Così, la proposta porterebbe a un taglio netto dei contratti pirata favorendo i sindacati più rappresentativi. A pagare il prezzo maggiore sarebbero le imprese che oggi pagano stipendi sotto la soglia minima prevista. Per loro, comunque, il ddl prevede un periodo di tempo per adeguarsi gradualmente, e anche un beneficio economico che l'adeguamento è particolarmente costoso.