Rosario Crocetta: il venticello e la commedia
Ho voluto ascoltarlo di persona, con le mie orecchie. Dopo avere vissuto fisicamente a Palermo i momenti più intensi del clamore sulla presunta intercettazione pubblicata da L'Espresso in cui il medico Tutino avrebbe detto in una telefonata con il Presidente della Regione Sicilia che Lucia Borsellino andava fatta "fuori come suo padre" (e L'Espresso, va ricordato, ci ha messo le virgolette) ho provato a tornare ai fatti. Perché dei fatti dovremmo scrivere e parlare. Ed è un fatto che Crocetta dopo tre giorni a "leccarsi le ferite" (come mi dice lui stesso) adesso contrattacca: secondo lui l'intercettazione non c'è, se c'è è un pastrocchio raffazzonato chissà come che non ha nulla a che vedere con indagini e Procure (e in questo caso gli scenari sarebbero forse ancora più inquietanti) e dice di non accettare giudizi per qualcosa che nessuno ha visto e che per di più lo racconta in silenzio. "Io in questa intercettazione non parlo, non dico una parola, forse non ci sono nemmeno" continua a ripetermi.
Certamente l'azione più semplice sarebbe quella di "mostrare" l'intercettazione una volta per tutte almeno per accendere un dibattito su una base certa e per smettere di lasciare veleggiare l'ipotesi di colonnelli dalla bocca troppo larga, consonanti vendette e parentele o trascrizioni "sulla fiducia": così com'è la notizia che ci è stata data non ci dice nulla.
Se davvero Crocetta ha così tanti nemici (sono stati moltissimi e prontissimi a ballare sul suo cadavere) forse sarebbe un bene per la politica e per il giornalismo che la discussione verta sulle sue mancanze e sui suoi errori piuttosto che su un venticello leggero. Chi non vuole Crocetta si opponga, ci dica, ci spieghi, ci informi e denunci come si denuncia in un Paese di diritto.
Il resto è commedia. E non fa nemmeno ridere.