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Roccella torna a prendersela con la “teoria gender”, dimostrando di non averci capito molto

“Le filosofie gender sono una nuova forma di oppressione e di patriarcato. Sicuramente un rischio per la libertà”. Lo ha detto la ministra Eugenia Roccella ad Atreju. Ma c’è qualche precisazione da fare a riguardo.
A cura di Annalisa Girardi
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Le cosiddette "teorie gender" sono una nuova forma di patriarcato, secondo Eugenia Roccella almeno. La ministra per la Famiglia è intervenuta dal palco di Atreju, tradizionale kermesse di Fratelli d'Italia e ha detto: "La questione gender nega l'identità femminile nega che le donne siano tali perché hanno un corpo di donna, che poi è il motivo per cui sono oppresse in tante parti del mondo. Io credo che le schwa, le filosofie gender, la negazione che possa essere usata la parola "donna " siano una nuova forma di oppressione e di patriarcato. Sicuramente un rischio per la libertà".

Serve fare qualche precisazione: il termine "gender" si è iniziato a diffondere a cavallo degli anni Ottanta e Novanta per definire quel sistema di convinzioni e comportamenti – tanto a livello culturale che sociali – che rientrano nelle categorie di maschio e femmina, oltre al sesso biologico. In italiano lo traduciamo con la parola "genere", ma affiancandola ad altre come "ideologia", "teoria" o "filosofia" indichiamo una presunta volontà di gruppi e sistemi di pensiero di "cancellare la famiglia naturale" ed eliminare i concetti di uomo e donna. Un discorso dal gusto complottista che stona con le effettive rivendicazioni della comunità Lgbtq+, che si batte invece per il contrasto alle discriminazioni che le minoranze continuano a subire in base a orientamento sessuale o, appunto, identità di genere.

Nessuno mette in dubbio la possibilità di una donna che si rispecchia nel genere tradizionalmente associato al suo sesso biologico di definirsi tale. Non si tratta dell'oppressione della parola, come dice Roccella, ma di usare un linguaggio più inclusivo, che non toglie nulla a nessuno, ma semplicemente apre a uno spettro più ampio.

La ministra, continuando a parlare di patriarcato ha anche aggiunto: "Il patriarcato esiste e in maniera feroce in tante parti del mondo. Penso all'Iran, all'Afghanistan e alla lotta solo per togliersi il velo. Nel mondo occidentale, libero, democratico è stato fatto un lungo cammino, non del tutto concluso, ma molto avanti eppure ci sono ancora dei rischi. Non so se li possiamo chiamare patriarcali, non patriarcali, neo patriarcali. Ma certamente la questione del gender è una questione che nega l'identità femminile".

Di nuovo, considerare mascolinità e femminilità come dei costrutti sociali e culturali – e in quanto tali figli diretti di contesti storici precisi – non significa togliere diritti a chi si identifica precisamente in loro e non li mette in discussione. Significa riconoscere che l'identità sessuale è qualcosa di diverso dal sesso biologico: non è un attributo fatto e finito alla nascita, ma si costruisce e muta nel nostro percorso di crescita, a seconda delle nostre esperienze, del contesto in cui siamo inseriti e di molti altri fattori.

La dicotomia maschio – femmina, inteso in modo irremovibile non solo come sesso biologico, ma anche nell'ottica dei ruoli di genere e di modelli socio-culturali, ha legittimato (e continua a farlo tutt'ora) disparità e discriminazioni. Sconfessare un sistema di pensiero che formula diverse regole sociali e culturali sulla base dell'anatomia, non vuol dire togliere diritti, ma riconoscere la differenza con i privilegi e contrastare stereotipi, pregiudizi, ed esclusioni che pesano su intere fette di popolazione. In un sistema di pensiero di questo tipo non c'è spazio per il patriarcato.

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A Fanpage.it sono vice capoarea della sezione Politica. Mi appassiona scrivere di battaglie di genere e lotta alle diseguaglianze. Dalla redazione romana, provo a raccontare la quotidianità politica di sempre con parole nuove.
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