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Roccella dice che Indi Gregory poteva essere curata. Ma per i medici non è così: “Non aveva speranze”

La ministra Eugenia Roccella ha commentato così la morte della piccola Indi Gregory: “Nessuno ha illuso i genitori di Indi con la promessa di una guarigione. Ma anche chi non può guarire può e deve essere curato”. Dal punto di vista clinico però per la bambina non c’erano speranze.
A cura di Annalisa Cangemi
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La ministra per la Famiglia Eugenia Roccella sostiene che Indi Gregory, la bambina affetta da una grave patologia mitocondriale, che è morta nella notte tra domenica e lunedì, all'1.45 (ora inglese), dopo che sabato erano stati sospesi i trattamenti vitali su ordine dei giudici, poteva essere curata in Italia, così come chiedevano i suoi genitori, Dean e Claire. Nonostante i medici sostengano il contrario.

Indi  lo scorso 6 novembre aveva ricevuto la cittadinanza italiana dal Consiglio dei ministri convocato d'urgenza, per consentirle di ricevere le cure palliative all'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma che le avevano negato nel Regno Unito.

La bambina, che aveva anche un buco nel cuore e che era stata operata all'intestino e al cranio subito dopo la sua nascita, era in cura presso il Queen's Medical Centre dell'università di Nottingham e da sabato, dopo che le erano stati tolti i supporti vitali, era stata portata in un hospice per malati terminali. I genitori di Indi non erano riusciti a convincere il giudice dell'Alta Corte di Londra a permettere il fine vita della loro piccola tra le mura domestiche.

"La tragica storia della piccola Indi mi ha turbato molto, come del resto ha turbato e sconvolto l'opinione pubblica", anche perché è stata "negata" la libertà di cura, ha detto la ministra Roccella in un'intervista a Qn.
A suo dire quindi la bimba di otto mesi, seppur gravemente malata, poteva essere curata: "Si fa spesso confusione tra il concetto di guarigione e quello di cura", ha sottolineato Roccella, "ci sono tante malattie dalle quali non si può guarire, basti pensare alle malattie croniche, e comunque a tutte le diagnosi con esito infausto. Ma questo non significa che la persona non possa essere curata. Se la immagina una sanità dove ci si prende cura solo di chi ha una prognosi positiva? L'accanimento non c'entra, presuppone un giudizio di appropriatezza clinica rispetto a un trattamento. E certamente non ci si può non fidare del giudizio, dell'esperienza e delle competenze del Bambin Gesù".
"Di fronte alla richiesta della famiglia di una seconda opzione di cura", ha ricordato il ministro, "il governo si è attivato affinché questa scelta potesse concretizzarsi e ha creato i presupposti affinché il tribunale inglese potesse tornare indietro dalle proprie decisioni. Si trattava di garantire alla famiglia di Indi la libertà di cura, che invece purtroppo è stata negata". 

In un'intervista a Il Messaggero alla ministra viene domandato se a Roma ci sarebbe stata davvero una possibilità di curare la bambina, senza rischiare di prolungarle inutilmente le sofferenze: "Non possiamo entrare direttamente nelle questioni mediche, di cui solo gli esperti possono occuparsi con la necessaria competenza e serietà. Vorrei solo ricordare che se da una parte c'era l'ospedale di Nottingham, dall'altra c'era il Bambino Gesù di Roma: due équipe mediche di livello scientifico indiscutibile, con pareri diversi, come spesso in ambito sanitario accade. Le terapie del dolore sono molto efficaci, e sulla capacità di evitare sofferenze alla piccola non c'erano dubbi. Nessuno ha illuso i genitori di Indi con la promessa di una guarigione. Ma anche chi non può guarire può e deve essere curato. Questo vuol dire che la sua condizione può essere migliorata e la sua vita prolungata e accompagnata dalla medicina, anche senza una prospettiva di guarigione".

Ma c'è chi accusa il governo di aver usato la vicenda per fare politica. "Non c'è stato alcuno scopo politico. I genitori di Indi cercavano un'alternativa, e si sono mobilitati per trovarla. L'ospedale Bambino Gesù di Roma, che è un'eccellenza a livello internazionale, ha proposto un altro percorso terapeutico, e il governo italiano ha cercato semplicemente di creare le condizioni affinché la giustizia inglese potesse ripensarci e accettare una soluzione diversa".

Remuzzi (Mario Negri): "Per Indi non c'erano speranze"

"I bambini non sono proprietà dei genitori. L'interesse dei più piccoli va messo sopra ogni cosa". Per Giuseppe Remuzzi, direttore dell'Istituto Mario Negri di Milano, è questo quello che avrebbe spinto i giudici britannici a non accogliere l'appello dei genitori di Indi Gregory, che ritiene che la decisione presa da medici e giudici sia stata corretta.

"Il destino della bambina era segnato da una malattia terribile, senza alcuna speranza di cura – ha detto al ‘Il Messaggero' – Quello che hanno fatto i medici e i giudici è pensare esclusivamente all'interesse della bambina, proprio come è successo per Charlie Gard. Non è detto che un genitore, per quanto buone siano le sue intenzioni, faccia la scelta più giusta. Pensiamo a coloro che non vogliono vaccinare i figli per il morbillo. In questi casi c'è per fortuna una società civile che protegge i bambini anche dagli errori che un genitore fa per troppo amore".

Nel caso di Indi nulla faceva pensare che ci sarebbero state speranze: "La piccola stava molto male e niente avrebbe potuto aiutarla – ha aggiunto Remuzzi – In queste condizioni, tenere quel povero corpicino attaccato ad una macchina che respira vuol dire solo prolungare l'agonia. Chi volesse sostenere che nel cervello di Indie poteva esserci qualcosa di vitale dovrebbe ammettere che quella piccola soffriva. Vi assicuro che stare in rianimazione espone a sofferenze devastanti. Se invece nel cervello di Indie di neuroni non ce n'erano più, andare avanti non avrebbe proprio avuto alcun senso".

Per Remuzzi i medici dunque non avevano altra scelta: "Il dovere del medico non è solo rianimare, ma è anche saper sospendere le cure quando sono inutili. Mi stupisco che qui in Italia si è pensato di poter fare di più", ha sottolineato il professore.

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