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Roccaforte del Greco: non si vota. Chi non vuole? La ’Ndrangheta?

Lo scrive Conchita Sannino su Repubblica. Il paesino dell’Aspromonte ha fatto registrare la percentuale più bassa di affluenza fra tutti i Comuni chiamati al voto per le amministrative. Cosa è accaduto?
A cura di Biagio Chiariello
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Roccaforte del Greco (Vunì per i suoi abitanti, secondo il nome in dialetto Greco-Calabro). E' un piccolo comune dell’Aspromonte, in provincia di Reggio Calabria, senza  un sindaco. Eppure domenica e lunedì anche qui si sono svolte le elezioni comunali, dopo che la precedente giunta era stata sciolta per mafia. Peccato che alle urne, sui 522 che ne avevano diritto, se ne sono presentati solo in 61. Il 10% scarso e addio quorum minimo per avere un sindaco, come racconta Conchita Sannino su Repubblica. In tutto 54 i voti raccolti dall’unica lista che ha partecipato alle comunali e che vedeva come candidato sindaco Giuseppe Minnella, segretario provinciale del Movimento sociale Fiamma tricolore.

Il sospetto, però, è che dietro quei 61 votanti su 522 e dietro la candidatura unica ci sia la mano della criminalità organizzata. Non un sospetto della Sannino, ma degli investigatori che più e più volte hanno sciolto Roccaforte per ‘ndrangheta: Non potendosi più scegliere uno dei loro, non hanno scelto", analizzano gli inquirenti. Replicano i votanti: "Non potevamo votarlo, quello. Siamo sempre stati di sinistra, qui". E comunque in Paese non fa certo piacere vedersi affibbiato il collegamento facile con la malavita: "Ma se non votano a Roma è normale sfiducia, e qui invece diventa un ordine di mafia?" dice qualcuno.

E sul candidato unico giudizio chiaro:

 Non potevamo votarlo, quello. Siamo sempre stati di sinistra, qui”. Già: qui, dove si porta il lutto di agguati feroci e si campava senza pagare tasse. Dove negli anni Novanta si scatenò la terribile faida di Roghudi, quasi 50 morti tra il clan Zavettieri e quello dei Pangallo-Maesano-Favasuli. Dove una notte affondarono il tetto di una casa con una bomba di ‘ndrangheta solo per stanare Antonino “Chiumbino” Pangallo, ma colpirono il fratello e accecarono sua madre. E tutto quel sangue – saldato alla fine dalla mediazione dell’astutissimo Peppe Morabito, il boss “Tiradrittu” – per colpa della mancata elezione di uno ‘ndranghetista come dodicesimo consigliere comunale a Roccaforte. Era il giugno ’92. Ventun anni dopo, il divorzio tra loro e lo Stato è compiuto.

 A questo punto Vunì continuerà ad essere retto da un commissario prefettizio, come successo del resto negli ultimi 17 anni, in attesa della prossima tornata elettorale.

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