Roberto Saviano: “Io arricchito parlando di mafia? Meloni dilettante, ecco perché mi attacca”

“Chi racconta la criminalità organizzata vive sapendo che la diffamazione è una compagna di viaggio. Però che una presidente del Consiglio attacchi ripetutamente uno scrittore, che lo porti in tribunale, è qualcosa che dovrebbe far tremare i polsi a voi più che a me”: Roberto Saviano risponde all’attacco di Giorgia Meloni, che ad Atreju lo ha accusato di essersi arricchito parlando di mafia.
A cura di Redazione
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di Roberto Saviano

Era il lontano 2009. Tutto parte da questa lettera di Giorgia Meloni.

Caro Roberto, dal 9 al 13 settembre si svolgerà a Roma la decima edizione di Atreju, festa nazionale dei giovani del Pdl, di cui ho recentemente assunto la guida.

Caro Roberto, ti sto cercando da giorni e ti scrivo questa lettera perché vorrei tanto che ci fossi anche tu ad Atreju 2009. In un contesto, se vuoi, da definire insieme. Potrebbe essere una sorta di lectio magistralis come quella che hai tenuto a Massenzio oppure un convegno […] per affrontare il tema dell’educazione alla legalità, per sollecitare la coscienza dei nostri giovani connazionali ad un impegno civile contro la criminalità organizzata che merita di essere assunto, prescindendo dalle diverse opzioni ideologiche e politiche. C’è poi l’ipotesi per te meno impegnativa, ma per noi ugualmente interessante, di venire a ritirare il premio Atreju 2009, dedicato agli uomini e alle donne che ci hanno reso particolarmente orgogliosi della comune appartenenza nazionale e/o generazionale.

Sarebbe molto importante per me poter contare sulla tua presenza, poter riaffermare che il tuo impegno letterario e sociale è sinceramente proteso ad una causa di tutti e non è lo strumento di un qualunque partito politico.

Spero che questa mia mail ti raggiunga presto, e che presto tu possa darmi una risposta. Per quanto mi riguarda, resto in fiduciosa attesa e ti saluto, una volta ancora, con la stima di sempre.

Un abbraccio

Giorgia

Va da sé che se avessi saputo che se la sarebbe presa tanto, ad Atreju, in quel lontano 2009, ci sarei andato. Bando agli scherzi e veniamo ad oggi. Domenica 17 dicembre, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, proprio ad Atreju, urlando, con voce quasi rotta dalla rabbia, mi ha per l’ennesima volta attaccato. Non le basta avermi portato in tribunale. Il mio torto? Secondo Meloni essermi “arricchito parlando di mafia”.

Ma parlando di mafia ho anche guadagnato una bella vita sotto scorta! Esattamente dal 2006, anno in cui ho scritto Gomorra. Una scorta che dapprima era composta da una auto blindata e 3 carabinieri, ma che dal 2008, anno in cui sono sopraggiunte nuove minacce – erano mesi un cui il clan dei casalesi compiva vere e proprie stragi – mi è stata aumentata a 2 auto blindate e 5 carabinieri. Più altri mezzi e altri carabinieri quando sono in trasferta. La scorta non è un privilegio e non me la sono assegnata da solo, è stata predisposta dall’allora Ministro degli Interni Giuliano Amato e, nonostante le mie continue richieste perché questa misura fosse revocata, nessun governo e nessun Ministro degli Interni (compreso quel Salvini che, sul togliermi la scorta ha fatto anni di campagna elettorale) è mai riuscito a farmi dono della libertà.

Ma perché Meloni cambia idea su di me? Perché decide che attaccarmi è più utile che starmi accanto o ignorarmi?

Partiamo dalla necessità di individuare un nemico che ogni politico populista ha. Questa cosa potete capirla senza troppi sofismi perché è una questione di numeri. Prendete le chat che avete su WhatsApp o un vostro profilo social: vi siete mai accorti di quanto sia difficile comunicare pensieri complessi a tante persone? Vi è mai capitato di essere fraintesi per il solo fatto di parlare contemporaneamente a più persone e non tutte sulla vostra lunghezza d’onda? Ecco, immaginate di essere un politico che voglia candidarsi e che deve per questo convincere milioni di persone a votarlo. La strada più facile è individuare un elemento semplice e comune a tutti su cui fare leva, magari individuare un nemico, magari che appartenga a una categoria di persone che è possibile avvertire come lontane ed estranee al punto da riuscire a bloccare ogni possibilità di empatia.

Disumanizzare una categoria di persone, ecco il primo passo: che siano neri, cinesi, musulmani, ebrei, meglio se poveri, perché i poveri non hanno voce. Come i migranti. E poi, accanto alla massa da disumanizzare serve un simbolo da demolire. Un simbolo che diventi un catalizzatore di odio. A quel punto si iniziano a costruire menzogne, tipo che ha diffamato la sua terra, che si è arricchito parlando di mafia e che pontifica dal suo attico a Manhattan. Non importa chi abbia per primo messi in giro queste menzogne, finiscono per crederci tutti anche persone che non hanno nulla in comune tra loro.

Quindi io divento uno strumento di propaganda utile, anzi utilissimo; la mia sola esistenza costituisce per loro un elisir di lunga vita perché da una parte ci sono io che mi ostino a raccontare dinamiche e a chiedere tempo, dall’altra ci sono loro che dicono semplicemente: "Ti sei arricchito parlando di camorra, hai copiato, vivi nell’attico a Manhattan". Punto.

Quando racconto una dinamica criminale, studio per mesi per renderla fruibile e per portare fonti, loro non devono dimostrare niente; dicono “Saviano ha l’attico a Manhattan” e voi gli credete.

Lo so che ho perso, l’ho sempre saputo anche prima che questi signori mi attaccassero. Chi racconta la criminalità organizzata vive sapendo che la diffamazione è una compagna di viaggio. Però che una presidente del Consiglio attacchi ripetutamente uno scrittore, che lo porti in tribunale pur sapendo quanta disparità c’è tra se stessa e colui il quale deve essere giudicato da una Corte, è qualcosa che dovrebbe far tremare i polsi a voi più che a me. Io sono impegnato a difendermi, non ho nemmeno il tempo per alzare la testa, ma voi?

Sapendo che si può fare quel che sta accadendo oggi in Italia a uno scrittore che vive sotto scorta, davvero pensate di poter stare tranquilli? Davvero pensate che tutto questo non vi riguardi? Davvero credete alla menzogna che se la camorra avesse voluto farmi del male lo avrebbe fatto a prescindere dalla scorta? Sapete che la scorta è un deterrente fondamentale perché colpire chi è sotto scorta significa colpire lo Stato? Sapete cosa accadrebbe se in un attentato venisse ferito un uomo della mia scorta? Sapete che le organizzazioni criminali prosperano quando sono fuori dai radar delle forze di polizia? Sapete che fare del male a me, che vivo scortato, sarebbe come sfidare lo Stato e la criminalità, se vuole gestire i propri affari, deve tenere un basso profilo? Vi rendete conto di quante balle vi racconta chi queste dinamiche dovrebbe conoscerle?

Ma torniamo al punto: perché Meloni attacca me?

Insomma, racconto di mafie, vivo sotto scorta, perché attaccarmi? Mettiamola così: se avessi continuato ad occuparmi di criminalità organizzata, senza cercare collegamenti tra questa e la classe dirigente non avrei avuto tanti problemi; se poi mi fossi fatto i fatti miei sulle condizioni dei migranti in Libia e dei naufraghi nel Mediterraneo avrei vissuto cento vite in tranquillità. Oddio, sotto scorta ma sicuramente senza attirare l’attenzione di Meloni.

Ma come ha detto Luca Casarini: “È come sapere che c’è Auschwitz e non fare niente”. In Libia c’è Auschwitz (che, per inciso, il Governo Italiano dal 2017 finanzia). E quindi sapendo che in Libia ci sono centinaia di migliaia di persone torturate, vessate, maltrattate, violentate e uccise, e che in mare muoiono naufraghi ogni giorno, non sono riuscito a girare lo sguardo altrove. E c’è anche una sorta di continuità tra la criminalità organizzata e la questione migranti. Vedete, le carceri italiane sono piene di immigrati processati e condannati a pene altissime per traffico di esseri umani, reato di cui si occupa l’Antimafia. Sono trafficanti di esseri umani? No, non tutti, anzi, una percentuale bassissima, ma sono stati trovati con scafo e bussola in mano e tanto è bastato perché fossero considerati alla stregua di trafficanti. In verità anche qualche “confessione” giunta dai compagni di viaggio è tornata utile. Ma capirete bene quanto tutto questo sia accaduto ledendo diritti fondamentali, in molti casi i processi avvenivano senza mediatori culturali, senza traduzioni serie.

Se fossi uno di quei giornalisti che di tanto in tanto intervistano Meloni glielo chiederei: ma lei si è arricchita scrivendo di mafie?

Sì perché Meloni qualche anno fa decise di farmi concorrenza scrivendo un libro a 4 mani (di cui oggi si vergogna, e fa bene) su “Mafia nigeriana. Origini, rituali, crimini”. Questo mediocrissimo progetto editoriale prende vita dopo un caso di cronaca nera: l’omicidio di Pamela Mastropietro. Si trattò di sciacallaggio palese il cui unico scopo non credo fosse quello di arricchirsi ma di far circolare questo messaggio: gli stranieri delinquono. Meloni ritiene che l’Italia sia terra vergine, di conquista. Meloni pensa che le mafie straniere possano venire in Italia e agire da padrone. Vero è che la mafia nigeriana ha delle peculiarità, ma Meloni ignora che l’Italia ha molte mafie autoctone, più di quelle di cui normalmente si parla, che mai e poi mai permetterebbero a stranieri di prendere il sopravvento su porzioni di territorio senza un accordo. Qualunque comunità criminale non autoctona, in Italia, “lavora” in appalto. Questo lo sa chi è competente e lo ignorano i dilettanti dell’antimafia, proprio come Meloni.

Poi arriva Caivano, e anche qui ci troviamo di fronte alla strumentalizzazione palese di un caso di cronaca: lo stupro commesso su due minorenni. Il rapporto del 2016 dell’ex Garante regionale per l’Infanzia diceva che “su 45 comuni campani sono emersi 155 casi di abusi su minori e 42 incesti, quasi tutti nel rione Salicelle di Afragola, Parco Verde di Caivano e Madonnelle di Acerra”. Se si riflette su cosa abbia portato il Governo e i media a rivolgere la loro attenzione a Caivano (non criminalità organizzata, ma uno stupro di gruppo ai danni di due bambine), il rapporto del’ex Garante regionale per l’Infanzia assume un’importanza nodale. Da una parte non ci si spiega come sia stato possibile aver ignorato la questione per così tanto tempo, dall’altro come si possa credere di poter risolvere la questione con operazioni di polizia, quando è evidente che serve una presa in carico del territorio sotto forma di cura, non di mera repressione. Le piazze di spaccio si spostano, e infatti quella di Caivano si è già spostata, i drammi restano. E quelli non li risolvi con i militari. Ma questo Meloni, che fino a qualche mese fa non sapeva nemmeno dive si trovasse sulla carta geografica Caivano, lo ignora. E però urla, come chi non sa e deve alzare la voce per convincere chi la ascolta che dice il vero.

Ad Atreju Meloni ha detto che mi sono arricchito parlando di mafie. Ad Atreju Meloni ha detto quello che da sempre boss e affiliati dicono a chi racconta il crimine organizzato. Cosa significa questo, che Meloni è una boss o una affiliata? Ovviamente no. Significa che non ha idea di come operino le organizzazioni criminali, di come agiscano, di come comunichino e quindi Meloni è pericolosa perché non è in grado di riconoscere da chi prendere le distanze.

Faccio solo qualche esempio. Meloni è stata al Governo con Nicola Cosentino, condannato con aggravante mafiosa; da lui non ha mai preso le distanze, anzi, ci ha governato insieme. Nemmeno da Gioseppe Caruso ha mai preso le distanze. Caruso, ex Presidente del Consiglio Comunale di Piacenza, arrestato nel 2019 e condannato in primo grado a 20 anni di reclusione, pena ridotta in appello a 12 anni nel processo per ‘Ndrangheta denominato "Grimilde". Condannato con aggravante mafiosa. Da me Meloni prende le distanze, dai condannati per mafia no. Cosa significa questo, che Meloni è mafiosa? Assolutamente no, ma è pericolosa perché è una dilettante dell’Antimafia e se sei il capo del governo di un paese con le più potenti e pericolose mafie del mondo non puoi permetterti questo dilettantismo.

Ricordate il premio che Meloni voleva darmi ad Atreju nel 2009?

Lo ha dato poi nel 2018 a quelli che lei, in un’intervista al Mattino definì: “Giornalisti dai quali Saviano è accusato di aver copiato articoli con i quali ha ottenuto ricavi milionari per Gomorra. Un modo per accendere i riflettori su chi davvero se lo merita, ed è in prima linea ogni giorno contro la camorra”. Partendo dal presupposto che ciascuno è libero di premiare chi vuole, faccio notare sommessamente che l’editore occulto delle testate premiate da Meloni è stato condannato per estorsione a mezzo stampa, che il giornalista Vincenzo Palmesano (lo avevo intervistato per Insider, ma figuriamoci se la sua presenza c’entra con la cancellazione del programma…) è stato licenziato dalle testate premiate da Meloni per ordine del boss Vincenzo Lubrano (lo stabilisce una sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere) e che i quotidiani premiati da Meloni, un’ordinanza del Tribunale di Roma stabilisce siano “contigui ad ambienti camorristici”. Mi hanno citato per plagio dopo che in televisione ho mostrato come fanno informazione. "Don Diana a letto con due donne” era il titolo che campeggiava su quei quotidiani dopo l’assassinio di Don Peppe a Casal di Principe. “Nunzio De Falco re degli sciupafemmine” invece era il titolo dedicato, sempre dalle testate premiate da Meloni, al mandante dell’omicidio di Don Peppe.

Meloni dice di aver iniziato a fare politica dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio, non ho motivo per non crederle. Ma, per il bene di tutti noi, spero sinceramente non faccia politica come fa antimafia.

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